UNO STUDIO SU MITHRA E CRISTO

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    www.ufoforum.it/viewtopic.php?f=44&t=18168

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    Consiglio a tutti quelli che vogliono affrontare seriamente l' argomento di leggere , e studiare questo post .

    Su wiki , e sul net, l' argomento è spesso affrontato molto confusamente .

    wiki mithra e cristo è una delle più infami ciofeche del net ,

    qui una mia critica

    www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=11076&whichpage=1



    zio ot :B):




    """""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""








    Salvo questo ottimo studio , di cui non conosciamo l' autore .



    http://episophia.files.wordpress.com/2012/...galilee_nxs.pdf




    MITRAISMO E CRISTIANESIMO

    LA COSPIRAZIONE PIU’ DI SUCCESSO DELL’INTERA STORIA UMANA






    Vicisti Galilee!


    Una ben nota tradizione cristiana narra che l’imperatore Giuliano, colpito da una lancia persiana
    e sbalzato a terra dalla groppa del suo cavallo, prima di esalare l’ultimo respiro sollevò una mano al
    cielo in un gesto di rabbia e di sfida, gridando: “Vicisti Galilee!”.


    Si tratta di una tradizione fantasiosa, che non ha nulla a che vedere con i fatti come si sono
    realmente svolti, creata da un cristianesimo che voleva accreditare l’immagine di un imperatore
    impegnato in una titanica lotta contro Cristo, il “Galileo”, uscendone alla fine sconfitto. Una
    tradizione fantasiosa creata per supportare un’immagine storicamente infondata. Ed anche il
    concetto che questa immagine vuole trasmettere, e cioè che gli ideali per cui Giuliano si era
    adoperato e battuto nel corso del suo breve regno fossero usciti definitivamente sconfitti, è tutt’altro
    che sostenibile. Meno di trent’anni dopo, infatti, quegli ideali trovarono pratica attuazione per opera
    dello stesso cristianesimo trionfante.



    Giuliano è passato alla storia con l’epiteto di “Apostata”, non del tutto appropriato, in quanto
    egli non era mai stato battezzato, anche se possedeva una conoscenza molto approfondita della
    religione cristiana, al punto da discutere con cognizione di causa sulle sue incongruenze, citando a
    memoria lunghi passi della Bibbia. Le sue critiche al cristianesimo, però, erano puramente
    filosofiche e dottrinali; egli non perseguitò mai la Chiesa, ed anzi proibì espressamente e condannò
    con fermezza ogni forma di violenza contro i cristiani.



    Gli storici moderni lo hanno definito l’ultimo imperatore “pagano”, per gli sforzi che profuse
    nel rivitalizzare e moralizzare i più noti culti pagani dell’antichità. Ma questo non gli impedì di far
    completare la chiesa di Santa Costanza, a Roma, per farvi seppellire la propria moglie Elena, e di
    essere sepolto lui stesso nella basilica dei dodici Apostoli, a Costantinopoli. Né gli impedì di
    ordinare la ricostruzione del tempio ebraico di Gerusalemme (i lavori, in effetti, furono iniziati, ma
    interrotti subito dopo, a quanto si dice a causa di un terremoto).



    In realtà Giuliano non era né cristiano, né propriamente pagano; era un adepto del Sol Invictus
    Mitra, come prima di lui suo zio Costantino il Grande e come la maggior parte dei senatori romani
    del suo tempo.


    Sul mitraismo sono state scritte, soprattutto nell’ultimo secolo, una enorme quantità di opere,
    che però ne forniscono un’immagine del tutto irreale ed estremamente confusa e contraddittoria. La
    confusione nasce dal fatto che tutti gli storici moderni lo considerano una vera e propria religione,
    La convinzione che il Sol Invictus Mitra fosse una religione si è consolidata con lo storico
    Cummont, che alla fine del 19.mo secolo ha scritto quella che da allora è ritenuta l’opera
    fondamentale sul mitraismo, partendo dal presupposto esplicito, vero e proprio postulato privo di
    qualsivoglia supporto bibliografico o archeologico, che esso fosse stato importato dalla Persia da un
    qualche ignoto legionario romano. Ed infatti il Cummont dedica buona parte della sua opera a
    descrivere la religione solare persiana e le sue varie diramazioni e filiazioni orientali, come il
    Mazdeismo, il Magismo e così via.



    Uno dei maggiori studiosi moderni del mitraismo, M.J. Vermaseren, condivide l’impostazione
    di Cummont, ma avverte: “Gli studiosi dei misteri di Mitra si trovano di fronte ad una difficoltà
    insormontabile e cioè: per quanto riguarda la forma persiana del mitraismo esistono soltanto
    evidenze letterarie, mentre il Mitra del mondo romano ci è noto quasi esclusivamente attraverso
    fonti non letterarie, archeologiche. Franz Cummont, quel brillante studioso morto nel 1947, ha
    chiaramente descritto questa situazione nel suo libro Die Mysterien des Mithra: ‘E’ come se, egli
    scrive, volessimo studiare il cristianesimo avendo a disposizione soltanto il Vecchio Testamento e le
    cattedrali medioevali’. A causa di questo enorme divario fra le fonti di informazione, la storia di
    Mitra è destinata a rimanere per sempre incompleta e distorta.”



    In altre parole, abbiamo da una parte una religione persiana di Mitra, sulla quale esiste una
    abbondante letteratura, ma nessun resto archeologico, o quasi; dal lato romano, invece, abbiamo
    centinaia di mitrei ed altre testimonianze archeologiche relative a Mitra, ma pochissime
    testimonianze letterarie sull’argomento, nessuna delle quali proveniente dall’interno stesso
    dell’organizzazione, e cioè da uno dei suoi membri. Il problema nasce appunto dal fatto che
    Cummont ha postulando fin dall’inizio della sua ricerca, senza mai dimostrarlo, che il culto di Mitra
    quale veniva professato nell’impero romano fosse la fotocopia della religione persiana.



    Questo postulato è stato accettato acriticamente da quasi tutti gli studiosi successivi, che si sono
    in maggioranza dedicati ad interpretare le evidenze archeologiche romane alla luce della letteratura
    persiana. ad approfondire i vari aspetti del magismo persiano, o a ricostruire gli aspetti esoterici ed
    astrologici del mitraismo romano, basandosi sulle scarne notizie fatte filtrare dalle fonti antiche ed
    integrandole arbitrariamente con elementi presi a prestito dalle fonti orientali e dalla mitologia
    greco-romana, per cercare di ricostruire in qualche modo contenuti e significati dei vari gradi
    iniziatici in cui l’istituzione mitraica era suddivisa. Ne risulta un quadro complessivo irreale, in
    stridente contrasto con quella che appare essere la realtà storica ed archeologica di questa
    istituzione.



    In realtà se c’è una cosa che appare con assoluta evidenza da tutto il materiale disponibile è che
    il cosiddetto culto di Mitra, a Roma, non era una religione, ma una confraternita di iniziati, divisa in
    vari livelli di iniziazione, che dalla religione orientale aveva preso a prestito soltanto il nome ed
    alcune simbologie esteriori. Quanto ai contenuti, scopi e modi operativi, niente accomuna il Mitra
    persiano e quello romano. L’istituzione mitraica romana in nessun modo può essere definita come
    una religione dedita al culto del sole. Sarebbe come dire che la massoneria moderna è una religione
    dedita al culto del Grande Architetto dell’Universo.



    Il paragone con la massoneria aiuta a capire che genere di istituzione fosse quella mitraica. Si
    tratta, infatti, di istituzioni sostanzialmente simili negli aspetti essenziali. Agli adepti della
    massoneria non viene richiesto di professare una particolare religione, ma soltanto di credere
    nell’esistenza di un’Entità superiore, comunque definita. Questa entità viene rappresentata nei
    templi massonici (che per inciso hanno straordinari punti di similitudine con i mitrei romani, e sono
    popolati di divinità pagane, come Ercole, Minerva e Venere) con un sole inserito in un triangolo e
    con il nome di Grande Architetto dell’Universo, che, guarda caso, è lo stesso che i pitagorici
    attribuivano al Sole. Nei templi vengono effettuati cerimoniali e rituali di iniziazione e di
    apertura/chiusura “lavori”, mai, però, a carattere religioso. La religione è espressamente bandita dai
    templi massonici ed ogni adepto, nella sua vita privata, è libero di professare il credo che più gli
    aggrada.



    Che ci sia una qualche connessione fra mitraismo e massoneria è tutt’altro che improbabile, dal
    momento che ci sono profonde similitudini nell’architettura e nelle decorazioni dei rispettivi templi,
    nei simbolismi, nei rituali e così via; ma non è materia che possa essere trattata in questa sede. Il
    paragone è stato introdotto al solo scopo di far capire quale tipo di istituzione fosse il mitraismo, che
    non era una religione dedita al culto di una qualche specifica divinità, ma una associazione segreta
    di mutua assistenza, i cui membri, nella loro vita pubblica, erano liberi di venerare qualsiasi divinità.
    E’ l’unica chiave di lettura che consenta di capire e conciliare le innumerevoli contraddizioni ed
    incongruenze, cui ci si trova confrontati quando si voglia intendere il mitraismo come una religione.
    Che il mitraismo non fosse una vera e propria religione è provato anche, come vedremo in
    seguito, dalle attività in campo religioso dei suoi adepti, fra cui lo stesso Giuliano. Egli fece
    costruire un mitreo nel suo palazzo, ma non vedeva nessuna delle divinità venerate nell’impero
    come “concorrente” di Mitra; si adoperò anzi in ogni modo perché tutte avessero pari dignità e
    rispetto. Questo era assolutamente tipico della filosofia dell’organizzazione mitraica, come viene
    spiegato approfonditamente nell’opera “Saturnalia”, composta intorno al 430 (ben dopo l’abolizione
    del paganesimo, quindi) dall’eminente scrittore Macrobio, supposto pagano.



    In essa il senatore
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    Pretestato, Pater Patrum del culto mitraico (la massima carica dell’organizzazione), in amabile
    conversazione con i grandi senatori mitraici Simmaco e Nicomaco Flaviano, si dilunga a spiegare
    come tutte le divinità pagane non siano altro che diverse manifestazioni, o anche diverse
    denominazioni, di un unico Ente superiore, rappresentato dal Sole, il Grande Architetto
    dell’Universo. “Paganesimo monoteista” l’ha definito qualcuno, mentre altri parlano genericamente
    di sincretismo religioso. In effetti tutte le religioni avevano pari dignità nei mitrei, dove
    comparivano le immagini delle principali divinità pagane ed i cui adepti si professavano
    pubblicamente devoti alle più disparate divinità, ivi comprese quella cristiana ed ebraica.
    In quanto mitraico, Giuliano condivideva questa filosofia. Il grande ideale che egli sognò di
    realizzare era perfettamente in linea con la filosofia sincretistica e tollerante del Sol Invictus Mitra.




    Egli progettò, infatti, di fondere tutte le confessioni dell’impero in un’unica super religione, retta da
    una casta sacerdotale e da una liturgia sincretistica unificate.
    Egli cominciò con il richiamare dall’esilio e reinsediare nelle loro sedi i vescovi ortodossi
    allontanati dal suo predecessore, l’ariano Costanzo; ma contemporaneamente pubblicò un editto di
    restituzione dei beni e della libertà di culto per il paganesimo. Poi si dedicò alla riorganizzazione
    delle gerarchie dei sacerdoti pagani, sul modello dell’organizzazione sacerdotale cristiana. Per ogni
    provincia creò un gran sacerdote, non solo per il culto imperiale, ma anche per il complesso di tutti i
    culti tributati agli dei, compreso quello cristiano. Di questi provvedimenti sono state tramandate
    varie lettere di Giuliano, che appaiono quasi delle vere e proprie encicliche, o lettere pastorali. In
    esse l’imperatore si occupava di reclutamenti, consuetudini di vita, formazione e trattamento
    economico dei sacerdoti, del servizio divino, che doveva essere tenuto tre volte al giorno, della
    fondazione di case per le vergini dedite alla vita ascetica (conventi, in pratica), e di ospizi. Inoltre
    Giuliano fece redigere opuscoli informativi per sacerdoti e libri di istruzione per l’insegnamento
    religioso.




    Questo era il grande progetto di Giuliano che, stando all’anonimo estensore cristiano della
    leggenda sulla sua morte, sarebbe stato sconfitto dal “Galileo”, per mezzo di una lancia persiana.
    Questo stesso progetto trovò invece pratica attuazione 27 anni dopo la morte di Giuliano, ad opera
    dell’imperatore Teodosio che nel 392 emanò un decreto che aboliva ufficialmente il paganesimo ed
    imponeva a tutti i sudditi dell’impero di professare la religione cristiana di Roma. Dobbiamo
    concludere che il “Galileo” abbia trionfato, dunque? Sembrerebbe proprio di si. Ma a ben guardare
    la religione che viene professata in suo nome assomiglia in modo impressionante a quella super
    religione vagheggiata da Giuliano, che doveva unificare tutti i culti professati nell’impero.
    Anche l’ideale di Giuliano, quindi, alla fine ha trionfato. Quello che era risultato perdente (ma
    forse la storia sarebbe andata diversamente, se l’ultimo imperatore “pagano” avesse avuto più
    tempo) era soltanto il metodo attraverso cui egli si illudeva di poter realizzare quell’ideale, e cioè
    attraverso la tolleranza reciproca. Teodosio, invece, aveva capito che l’unico modo per arrivarci era
    l’intolleranza. I templi pagani vennero chiusi o distrutti ed ogni forma di culto pagano proibita; ma
    simboli, rituali, usanze, festività ed in molti casi anche lo stesso clero vennero assorbiti in toto nel
    cristianesimo.




    La religione cristiana si autoproclama monoteista, ma al di là delle dichiarazioni di principio
    non è più monoteista di quanto lo fosse il mitraismo. L’Ente Supremo, infatti, è costituito in realtà
    da una Trinità, costituita da un Dio Padre, eterno, onnipotente, onnipresente, creatore di tutte le
    cose; dal suo Figlio unigenito, che ha iniziato ad esistere incarnandosi nel ventre di una donna, per
    opera di un terzo elemento, non ben definito, lo Spirito Santo. Una cosa che riflette in maniera
    lampante la concezione pagana, è il fatto che il Figlio è salito al “cielo” con il suo stesso corpo
    umano, e si trova lì da qualche parte in carne ed ossa. Non può sfuggire la similitudine con la
    concezione mitraica di un ente supremo, rappresentato dal sole e dal suo inviato in terra Mitra,
    incarnatosi anch’egli in una donna e salito al cielo dopo aver compiuto la sua missione.
    Al di sotto di questa Trinità c’è poi tutta una pletora di vere e proprie “divinità” minori, fra cui
    primeggia in modo assoluto la Madonna, le quali hanno sostituito a tutti gli effetti altrettante
    divinità pagane, di cui hanno spesso assorbito simbolismi e funzioni.



    Alla Madonna e ai santi
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    vengono erette chiese e santuari e la maggior parte dei fedeli si rivolgono direttamente ad essi, non
    certo all’Ente Supremo, per ottenere grazie e favori, allo stesso modo in cui i fedeli pagani si
    rivolgevano alle varie divinità minori perché intercedessero presso il padre degli dèi. Ogni categoria
    umana, nel paganesimo, aveva una sua divinità protettrice, come ogni categoria umana, nel
    cristianesimo, ha un suo santo protettore.



    Il Cristianesimo ha poi ereditato in massa simboli e festività tipiche del mitraismo. Il giorno
    sacro al sole è diventato la domenica, sacra al Signore. Il Natalis Solis Invicti è diventato il Natale
    di Gesù. Il simbolo del sole è onnipresente in tutte le chiese cattoliche (basti pensare all’ostensorio)
    e nelle immagini di Dio e dei santi, al punto che se un ipotetico archeologo venuto da un altro
    mondo dovesse giudicare il cristianesimo soltanto dalle immagini e simbolismi che compaiono nelle
    chiese, dovrebbe forzatamente concludere che si tratta di una religione dedita al culto del sole. Si
    tratta, in ogni caso, soltanto di immagini esteriori, perché a livello dottrinale e liturgico ha integrato
    un gran numero di elementi giudaici.



    In conclusione, il cristianesimo ha incorporato, rielaborandoli ed armonizzandoli in una cornice
    dottrinale unitaria, sincretistica, gli elementi essenziali delle maggiori religioni professate
    nell’impero romano, realizzando così, per altra via, il sogno di Giuliano.



    Chi ha vinto, dunque, Giuliano o il “Galileo”? La risposta non può essere che una sola:
    entrambi. Vedremo fra poco, infatti, che mitraismo e cristianesimo non erano nemici giurati e
    neppure antagonisti, come ritenuto da molti storici. Erano due facce di una stessa medaglia,
    entrambi funzionali allo stesso scopo e cioè al successo della più grande, ardita e fortunata
    cospirazione dell’intera storia umana.




    Mitra e Gesù, due facce della stessa medaglia






    Nel 384 d.C. moriva a Roma il senatore Vettio Agorio Pretestato, ultimo papa (acronimo di
    pater patrum) di quello che impropriamente viene definito “culto” di Mitra.
    Il suo nome e le sue varie cariche religiose e politiche sono incisi sul basamento della facciata
    della Basilica di San Pietro, in Vaticano, insieme ad una lunga lista di altri senatori romani, stilata
    fra il 305 ed il 390. La cosa che li accomuna è che sono tutti patres mitraici; e ben nove di essi
    rivestono il titolo supremo di Pater Patrum, a riprova del fatto che era qui, nel Vaticano, che si
    trovava la sede del capo supremo dell’organizzazione mitraica, fianco a fianco, se non addirittura
    l’una dentro l’altra, con la Basilica fatta erigere nel 320 dall’imperatore Costantino.
    Per quasi settant’anni i capi supremi di due “religioni” che si è sempre voluto far apparire
    concorrenti ed in aspro conflitto fra loro, hanno convissuto pacificamente ed in perfetta armonia
    nella stessa sede. Quanto fosse pacifica la convivenza è provato dal fatto che fu lo stesso Pretestato,
    nel 367, in qualità di Prefetto dell’Urbe, a confermare sul trono di Pietro il vescovo Damaso.
    Pretestato affermava che avrebbe volentieri accettato di farsi battezzare, se gli avessero offerto
    la cattedra di Pietro. Quel che successe alla sua morte, invece, fu esattamente il contrario. Il titolo di
    Pater Patrum ricadde (oggi si direbbe per default) sul vescovo Siricio, che fu il primo nella storia
    della Chiesa ad assumere l’appellativo di “papa”. Ed insieme ad esso anche tutta una serie di altre
    prerogative, titoli, simbologie e beni materiali passarono in massa dal mitraismo al cristianesimo.
    Per capire quello che appare come un vero e proprio “passaggio di consegne” fra il papa
    mitraico e quello cristiano, bisogna risalire all’anno prima. Nel 383, infatti, il senato romano aveva
    votato a stragrande maggioranza l’abolizione del paganesimo nell’impero d’occidente. Un voto che
    ha lasciato perplessi gli storici, che si sono spesso domandati se fosse dovuto a intimidazioni
    esercitate dall’imperatore Teodosio o a che altro.
    E’ opinione comune fra di essi, infatti, che il senato romano fosse a quell’epoca in maggioranza
    pagano. Anzi, si trova spesso scritto che proprio il senato costituiva l’ultima roccaforte di resistenza
    del paganesimo contro il cristianesimo trionfante. Un’opinione che contrasta in modo stridente con
    ripetute dichiarazioni di San Ambrogio, il quale in quegli stessi anni affermava che i cristiani erano
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    in maggioranza nel senato; affermazioni cui gli storici non hanno mai dato alcun credito, ritenendole
    inattendibili. Chi ha ragione, Ambrogio o gli storici moderni?
    Certamente dobbiamo ritenere del tutto inverosimile che il vescovo di Milano, che apparteneva
    ad una grande famiglia senatoriale e seguiva attentamente le questioni romane, si sbagliasse su una
    questione del genere. D’altro canto, però, non possiamo neppure biasimare gli storici, dal momento
    che prove documentali ed archeologiche confermano che la grande maggioranza dei senatori romani
    erano allora “patres” del Sol Invictus Mitra, e quindi, secondo l’opinione universalmente accettata,
    dichiaratamente pagani.
    Quello che nessuno storico ha mai capito, però, o meglio non ha mai voluto capire nonostante
    numerose evidenze storiche, è che le due condizioni, di adepto del mitraismo e di cristiano (non
    battezzato), non erano affatto incompatibili.
    L’esempio più lampante è costituito dall’imperatore Costantino, ma se ne potrebbe compilare
    una sostanziosa lista. Costantino era adepto del Sol Invictus Mitra e mai lo rinnegò, anche quando si
    proclamava “servo di Dio” e affermava di essere “il vescovo costituito da Dio per l’umanità fuori
    dalla Chiesa”. Il suo biografo Eusebio lo definisce addirittura “il novello Mosé” e “una sorta di
    vescovo universale”. Ma Costantino si fece battezzare solo in punto di morte, continuò per anni a
    battere monete con simboli mitraici da un lato, cristiani dall’altro e innalzò a Costantinopoli una
    statua colossale di se stesso, con simboli mitraici.
    D’altra parte gli stessi senatori mitraici avevano in maggioranza mogli e figlie cristiane, come
    testimoniato, fra gli altri, da San Girolamo. Un esempio illustre è quello di San Ambrogio, ritenuto
    dagli storici inizialmente pagano, figlio di un pagano mitraico, il prefetto delle Gallie Ambrogio,
    nonostante non ci sia alcun dubbio che la sua famiglia fosse cristiana e vivesse in ambiente
    profondamente cristiano. Da bambino, infatti, Ambrogio amava giocare a fare il vescovo e nel 353
    sua sorella Marcellina ricevette il velo delle vergini consacrate dal papa Liberio in persona, nella
    basilica di San Pietro. Formalmente, però, egli rimase “pagano” fino al momento stesso in cui fu
    designato vescovo di Milano; fu battezzato, infatti, soltanto quindici giorni prima di essere
    consacrato vescovo.
    Il fatto è che a quell’epoca i cristiani destinati alla carriera politica (Ambrogio era governatore
    del Nord Italia al momento della nomina a vescovo) erano battezzati soltanto in punto di morte,
    oppure quando, per una qualche ragione, decidevano di abbracciare la carriera ecclesiastica. Era la
    prassi, allora. Il senatore Nectarius, per esempio, che era stato designato vescovo di Antiochia dal
    concilio di Costantinopoli del 381, fu costretto a posporre la cerimonia della sua consacrazione
    perché dovette prima provvedere a quella del proprio battesimo.
    Subito dopo il voto di abolizione del paganesimo, i senatori romani abbracciarono in massa la
    fede cristiana (pur continuando a mantenere, in molti casi, mitrei privati), a cominciare da quel
    Simmaco, pater mitraico, che è passato alla storia per la sua strenua quanto vana difesa della
    tradizione “pagana”, di fronte all’imperatore Valentiniano. Pochi anni dopo, infatti, il cristianissimo
    imperatore Teodosio, fanatico persecutore di ogni eresia e residuo pagano, lo gratificò elevandolo
    agli onori del consolato.
    E’ possibile, ci si chiederà, che una persona potesse aderire contemporaneamente a due diverse
    religioni? Qui sta il punto essenziale. Si è già visto come, per un evidente quanto incredibile
    equivoco (ma forse non si sbaglierebbe di molto se si parlasse di deliberata mistificazione), il
    cosiddetto “culto” del Sol Invictus Mithra , è sempre stato ritenuto una “religione”, sorta in parallelo
    al cristianesimo e in concorrenza con esso. C’è addirittura chi ritiene che questa “religione” fosse
    talmente radicata e diffusa nella società romana, che soltanto per un soffio perse la gara con il
    cristianesimo. Più moderatamente, il Renan affermava che se per un qualche accidente il
    cristianesimo fosse abortito nel corso del quarto secolo, il mondo sarebbe stato mitraico.
    E’ un chiaro riconoscimento del potere e del capillare controllo che l’organizzazione mitraica
    aveva conseguito nel corso del quarto secolo sull’intera società romana. Organizzazione segreta di
    tipo esoterico, non certo religione. Nonostante il parere del Renan, infatti, non si riesce proprio ad
    immaginare in che cosa potesse consistere una “religione” mitraica romana, dal momento che gli
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    adepti dell’organizzazione si proclamavano pubblicamente fedeli o sostenitori di un gran numero di
    altre divinità, che comprendevano praticamente l’intero olimpo pagano.
    La maggioranza degli storici concordano sul fatto che gli adepti mitraici erano, a modo loro,
    monoteisti. Quello che dimenticano di sottolineare è che, grazie alla loro particolare filosofia
    sincretistica, essi “infiltrarono” e si impadronirono del culto (e delle relative prebende) di tutte le
    divinità pagane.
    Infatti tutte le “grotte” mitraiche ospitavano (esattamente come i templi massonici moderni) una
    schiera di divinità pagane, come Saturno, Atena, Venere, Eercole e così via e gli adepti di Mitra (che
    fra l’altro erano esclusivamente uomini, essendo le donne categoricamente escluse
    dall’organizzazione) nella loro vita pubblica esercitavano la funzione di sacerdoti al servizio non
    soltanto del Sole, che era venerato in templi pubblici ben distinti dai mitrei (che erano invece
    minuscoli vani sotterranei accessibili solo agli adepti, i quali vi tenevano riunioni ammantate dal più
    stretto segreto), ma anche di altre divinità romane.
    Questo è provato al di là di ogni possibile dubbio proprio dalle iscrizioni che si trovano sul
    basamento della Basilica di S. Pietro. Scorrendo la lista dei senatori ivi elencati, infatti, si scopre
    che, oltre al titolo di “patres” del Sol Invictus Mitra, essi ricoprivano anche una lunga serie di
    cariche nel culto di altre divinità, come sacerdos, hieroceryx, hierophanta e archibucolus di Bronto
    o di Ecate, Iside e Libero, maior augur, quindecimvir sacris faciundis e per finire anche pontifex di
    vari culti pagani, e naturalmente erano responsabili del collegio delle vestali e del sacro fuoco di
    Vesta. Non c’era nel Senato alcuna manifestazione di culto legato alla tradizione pagana che non
    venisse celebrata da un senatore mitraico. E quello stesso senatore, il più delle volte, aveva alle
    spalle una famiglia profondamente cristiana. Ed in ogni caso abbracciò immediatamente il
    cristianesimo non appena il paganesimo fu abolito.
    Sorge allora spontanea una domanda: i senatori mitraici erano soltanto pagani o anche cristiani?
    Su questo punto le evidenze in nostro possesso sono piuttosto ambigue. Anche il carattere dello
    stesso Mitra, come viene dipinto dagli scrittori cristiani, è assolutamente ambiguo. Fra lui e Gesù
    esiste una lunga serie di analogie: Mitra era nato in una stalla, il 25 Dicembre, da una madre
    vergine, circondato da pastori che portavano doni. Era venerato nel giorno dedicato al sole, la
    domenica. Attorno alla testa aveva un’aureola. Celebrò un’ultima cena insieme ai suoi seguaci più
    fedeli, prima di far ritorno al a suo padre. Si diceva che non fosse morto, ma che fosse asceso al
    cielo, da dove sarebbe tornato alla fine del mondo, per resuscitare i morti e giudicarli, mandando i
    buoni in paradiso e i cattivi all’inferno. Garantiva ai suoi fedeli l’immortalità, conseguita attraverso
    il battesimo.
    Gli adepti di Mitra, quindi, credevano come i cristiani nell’immortalità dell’anima, nel giudizio
    universale, nella resurrezione dei morti e nella fine del mondo. Celebravano la morte di un salvatore
    che era risorto una domenica. Celebravano una cerimonia analoga alla Messa cristiana, durante la
    quale consumavano pane consacrato e vino in memoria dell’ultima cena di Mitra. E durante la
    cerimonia cantavano inni, suonavano campanelli, accendevano ceri e usavano acqua consacrata.
    Essi condividevano con i cristiani una lunga serie di altre credenze e pratiche rituali, al punto da
    essere praticamente indistinguibili da essi, agli occhi dei pagani ed anche di molti cristiani
    L’esistenza di una sotterranea connessione tra il cristianesimo ed il mitraismo fin dai primi
    tempi è ammessa anche dai padri della Chiesa. Tertulliano scrive che i pagani “…credono che il Dio
    dei cristiani è il Sole, perché è noto che noi preghiamo rivolti verso il sole nascente e che nel giorno
    del sole facciamo festa (Tertulliano, Ad Nationes, 1, 13). Egli cerca di giustificare la sostanziale
    identità fra le due “religioni” agli occhi dei fedeli cristiani, attribuendola al fatto che satana avrebbe
    plagiato i rituali più sacri e le credenze della religione cristiana. Costantino credeva che Gesù Cristo
    ed il Solo Invictus Mitra fossero entrambi aspetti della stessa divinità superiore. Certamente egli non
    era il solo a nutrire questa convinzione. I neoplatonici sostenevano che il mitraismo rappresentava
    un “ponte” fra paganesimo e cristianesimo. Gesù era spesso chiamato con il nome Sol Iustitiae ed
    era rappresentato con statue aventi le sembianze del giovane Apollo (curiosamente anche
    Michelangelo, nel grandioso affresco del Giudizio Universale della cappella Sistina, ha
    6
    rappresentato Gesù con il volto dell’Apollo del Belvedere). Clemente di Alessandria descrive Gesù
    alla guida del carro del sole attraverso il cielo, ed un mosaico del quarto secolo, in Vaticano, lo
    mostra sul carro del sole, mentre ascende al cielo. Su alcune monete del quarto secolo lo stendardo
    cristiano riporta la scritta “Sol Invictus”. Un larga parte della popolazione romana pensava che il
    Cristianesimo ed il culto del sole fossero intimamente collegati, se non proprio la stessa cosa.
    Anche dopo l’abolizione del paganesimo, i romani continuarono a lungo a venerare entrambi, sia
    Cristo che il Sole. Nel 410 d.C. papa Innocenzo autorizzò la ripresa di cerimonie in onore del sole,
    sperando in questo modo di scongiurare il sacco di Roma da parte dei Visigoti di Alarico. E ancora
    nel 460 papa Leone il Grande scriveva: “… molti cristiani, prima di entrare nella basilica di San
    Pietro, si rivolgono verso il sole e si inchinano in suo onore”. Il vescovo di Troy continuò a
    professare apertamente il culto del sole anche durante il suo episcopato. Un altro notevole esempio
    in questo senso è dato da Sinesio di Cirene, un discepolo della famosa filosofa neoplatonica Ipazia,
    che fu trucidata nel 415 ad Alessandria d’Egitto. Sinesio, non ancora battezzato, fu eletto vescovo di
    Tolemaide e vescovo metropolitano di Cirenaica, ma accettò la carica soltanto a condizione di non
    dover ritrattare le sue convinzioni neoplatoniche o rinunciare al culto del sole. Ancor oggi il simbolo
    del sole è universalmente presente in tutte le chiese ed in tutti gli oggetti di culto cristiani.
    Alla luce di questi fatti come dobbiamo considerare la posizione dell’istituzione mitraica nei
    confronti del cristianesimo? Erano concorrenti o cooperatori? Amici o nemici? Forse la migliore
    indicazione ci è fornita dalle monete che Costantino fece coniare fino al 320 d. C., con simboli
    cristiani su un lato, mitraici sull’altro. E’ possibile che Cristo e Mitra fossero due facce di una stessa
    medaglia?




    Le origini del Mitraismo e del Cristianesimo





    Per spiegare la stretta relazione esistente fra Cristianesimo e Mitraismo dobbiamo risalire alle
    loro origini.
    Per universale consenso, il cristianesimo come noi lo conosciamo è una creazione di San Paolo,
    il fariseo che fu inviato da Gerusalemme a Roma nel 61 circa, dove fondò la prima comunità
    cristiana della capitale. La religione predicata a Roma da Paolo era assai diversa da quella predicata
    da Gesù in Palestina e praticata da Giacomo il Giusto, l’allora capo della comunità cristiana di
    Gerusalemme. La predicazione di Gesù era in linea con il modo di vivere e pensare della setta
    giudaica degli Esseni. I contenuti dottrinali del cristianesimo affermatosi a Roma alla fine del primo
    secolo, invece, sono straordinariamente vicini a quelli della setta dei farisei, a cui Paolo
    apparteneva.



    Paolo fu condannato a morte probabilmente nel 67 da Nerone, insieme alla maggior parte dei
    suoi discepoli. La comunità cristiana di Roma fu decimata dalla persecuzione neroniana. Non
    abbiamo alcuna informazione su quel che accadde in seno a questa comunità nei successivi 30 anni;
    un black out di notizie che lascia alquanto perplessi, perché sappiamo per certo che durante quel
    periodo a Roma dovette succedere qualcosa di molto importante. Infatti, alcuni dei più eminenti
    cittadini della capitale furono convertiti al cristianesimo, come il console Flavio Clemente, cugino
    dell’imperatore Domiziano. Inoltre la chiesa di Roma assunse una struttura monarchica e impose la
    sua leadership su tutte le comunità cristiane dell’impero, che dovettero uniformarsi al modello ed
    alle credenze della chiesa romana. Questo è provato al di là di ogni dubbio da una lunga lettera di
    papa Clemente ai Corinzi, scritta verso la fine del regno di Domiziano, in cui è chiaramente
    affermata la supremazia della Chiesa di Roma.




    Ciò significa che durante gli anni del black out qualcuno che aveva accesso alla famiglia
    imperiale aveva risollevato le sorti della comunità cristiana romana al punto da consentirle di
    imporre la propria autorità su tutte le altre comunità cristiane dell’impero. Ed era “qualcuno” che
    conosceva perfettamente la dottrina ed il pensiero di Paolo, 100% farisaico.
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    Anche l’organizzazione mitraica era nata nello stesso periodo e nello stesso ambiente. Data la
    scarsità di informazioni scritte su questo argomento, l’origine e la diffusione del culto di Mitra ci
    sono note quasi esclusivamente grazie ai reperti archeologici (resti di mitrei, scritte dedicatorie,
    iconografie e statue del dio, rilievi, pitture, mosaici ecc.) che sono stati rinvenuti in abbondanza in
    tutto l’impero romano. Queste testimonianze archeologiche provano in maniera praticamente certa
    che, a parte il nome comune, non c’era alcuna relazione fra il culto di Mitra romano e la religione
    orientale da cui si suppone (o meglio si postula) che sia derivato. In tutto il mondo persiano, infatti,
    non è mai stato trovato nulla di simile ad un mitreo romano.
    Quasi tutti i monumenti mitraici rinvenuti possono essere datati con relativa precisione, dal
    momento che vi si trovano iscrizioni dedicatorie. Pertanto, tempi e circostanze della diffusione del
    culto del Sol Invictus Mitra (questi tre nomi compaiono quasi sempre assieme in tutte le iscrizioni,
    pertanto non c’è dubbio che si riferiscono alla stessa ed unica istituzione) ci sono noti con
    ragionevole precisione e certezza. Conosciamo anche il nome, la professione e le responsabilità di
    un gran numero di suoi membri.
    Il primo mitreo di cui si abbia evidenza fu costruito a Roma, al tempo di Domiziano, e ci sono
    precise indicazioni che fosse frequentato da persone vicine alla famiglia imperiale, in particolare
    liberti giudaici. Il mitreo, infatti, fu dedicato da un certo Tito Flavio Igino Efebiano, un liberto
    dell’imperatore Tito Flavio, pertanto quasi certamente un giudeo romanizzato. Da Roma
    l’organizzazione mitraica si diffuse, nel corso del secondo secolo, in tutto l’impero occidentale.
    C’è un terzo avvenimento, accaduto in quello stesso periodo ed in qualche modo collegato alla
    famiglia imperiale ed agli ambienti giudaici, a cui gli storici non hanno mai prestato particolare
    attenzione: l’arrivo a Roma di un importante gruppo di persone, 15 alti sacerdoti giudaici, con le
    loro famiglie e parenti. Appartenevano alla classe sacerdotale che aveva governato Gerusalemme
    per mezzo millennio, fin dal ritorno dall’esilio babilonese, quando 24 famiglie sacerdotali, sotto gli
    auspici di Esdra, avevano stipulato fra loro un accordo e creato un’organizzazione segreta con lo
    scopo di assicurare le proprie fortune, per mezzo della “proprietà” esclusiva del Tempio e
    l’esclusiva amministrazione del sacerdozio.
    La dominazione romana della Giudea era stata segnata da forti tensioni sul piano religioso, che
    avevano provocato una serie di rivolte, l’ultima delle quali, nel 66 d.C., fu fatale per la nazione
    giudaica e per la stessa famiglia sacerdotale. Con la distruzione di Gerusalemme da parte di Tito
    Flavio, nel 70 d.C., lo strumento principale del potere della famiglia, il Tempio, fu raso al suolo, e
    mai più ricostruito, ed i sacerdoti furono uccisi a migliaia.
    Ci furono dei superstiti, naturalmente, in particolare un gruppo di 15 alti sacerdoti che erano
    passati dalla parte dei romani, consegnando a Tito il tesoro del tempio, e per questa ragione erano
    stati reintegrati nelle loro proprietà e gli era stata concessa la cittadinanza romana. Essi avevano poi
    seguito Tito a Roma, dove apparentemente scomparvero per sempre dalla scena della storia, a parte
    quello che indubbiamente appare come la personalità più forte di quel gruppo, Giuseppe Flavio.
    Giuseppe era un sacerdote che apparteneva alla più illustre delle 24 famiglie sacerdotali
    giudaiche. Al tempo della rivolta contro Roma aveva ricoperto un ruolo di primo piano nelle
    tormentate vicende della Palestina. Inviato dal Sinedrio quale governatore della Galilea, egli era
    stato il primo a combattere contro le legioni del generale romano Tito Flavio Vespasiano, che aveva
    ricevuto da Nerone l’incarico di reprimere la rivolta. Barricato nella fortezza di Jotapata egli
    resistette valorosamente all’assedio delle truppe romane, ma alla fine dovette capitolare. Egli si
    arrese a condizione di poter parlare personalmente con Vespasiano (Guerra Giudaica, III, 8,9). Il
    loro incontro segnò una svolta nelle fortune di entrambi: Vespasiano qualche tempo dopo divenne
    imperatore, mentre Giuseppe non soltanto ebbe salva la vita, ma fu “adottato” nella famiglia
    imperiale ed assunse il nome di Flavio. In seguito ottenne la cittadinanza romana, una villa patrizia a
    Roma, una rendita annua a spese dello stato ed enormi proprietà in Palestina. Il prezzo del suo
    tradimento (fu lui, probabilmente, che fornì a Vespasiano i mezzi economici per diventare
    imperatore).
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    I sacerdoti di questo gruppo avevano una cosa in comune fra loro: erano tutti traditori del loro
    popolo e quindi certamente non bene accetti in seno alle comunità giudaiche. Appartenevano tutti,
    però, ad una famiglia dalle tradizioni millenarie, erano legati fra loro dall’organizzazione segreta
    creata a suo tempo da Esdra e possedevano una specializzazione ed una esperienza unica nel gestire
    una religione e governare un paese tramite questa. I poveri resti della comunità cristiana romana,
    sopravvissuti alle persecuzioni neroniane, offrivano loro una splendida opportunità di mettere a
    frutto la loro millenaria esperienza e le loro notevoli sostanze.
    Non sappiamo nulla della loro attività a Roma, ma ne abbiamo chiare indicazioni attraverso gli
    scritti di Giuseppe Flavio. Dopo alcuni anni, infatti, egli cominciò a scrivere la storia di quegli
    avvenimenti che lo avevano avuto protagonista, con l’intento, a quanto sembra, di giustificare il
    proprio tradimento e quello dei suoi compagni. Era stata la volontà di Dio, egli afferma, che lo
    aveva chiamato a costruire un Tempio Spirituale, al posto di quello materiale distrutto da Tito.
    Queste parole certamente non erano rivolte ad orecchie giudaiche, ma cristiane. La maggior
    parte degli storici sono scettici sul fatto che Giuseppe fosse cristiano, ma ci sono forti elementi che
    lo confermano. In un passo famoso del suo libro “Antichità Giudaiche” (il cosiddetto Testimonium
    Flavianum) egli dichiara di accettare due punti fondamentali, la resurrezione di Cristo e la sua
    identificazione con il messia delle profezie, che sono condizione necessaria e sufficiente, per un
    giudeo del suo tempo, per essere considerato cristiano. Le simpatie cristiane di Giuseppe traspaiono
    inoltre molto chiaramente da altri passi della stessa opera, nei quali egli parla con grande
    ammirazione di Giovanni Battista e del fratello di Gesù, Giacomo.




    Giuseppe Flavio e San Paolo




    Le argomentazioni usate da Giuseppe Flavio per giustificare il proprio tradimento e quello dei
    suoi fratelli, sembrano riecheggiare le parole di San Paolo. I due sembrano essere in sintonia per
    quel che riguarda il loro atteggiamento nei confronti del mondo romano. Paolo considerava suo
    compito liberare la chiesa di Gesù dalle strettoie del giudaismo e dalla dipendenza dal territorio
    palestinese, e di renderla universale, legandola a Roma. Essi sono in sintonia anche su altri punti
    fondamentali, come ad esempio sul fatto che entrambi dichiarano di credere nella dottrina dei
    farisei, che è poi quella che è stata pienamente recepita dalla chiesa di Roma.
    Ci sono sufficienti indicazioni storiche per concludere con certezza che i due si conoscevano ed
    erano legati da una profonda amicizia. Negli Atti degli Apostoli si legge che, dopo essere tornato a
    Gerusalemme, Paolo fu condotto di fronte ai sommi sacerdoti ed al Sinedrio per essere giudicato
    (Atti 22, 30). Egli si difese dicendo:
    “Fratelli, io sono un fariseo, figlio di farisei; io sono chiamato in giudizio a motivo della
    speranza nella resurrezione dei morti”. Appena egli ebbe detto ciò scoppiò una disputa tra i
    farisei ed i sadducei e l’assemblea si divise. I sadducei infatti affermano che non c’è
    resurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei, invece, professano tutte queste cose. Ne nacque
    allora un grande clamore ed alcuni scribi del partito dei farisei, alzatisi in piedi protestavano
    dicendo: “Non troviamo nulla di male in quest’uomo. E se uno spirito o un angelo gli avesse
    parlato davvero?” La disputa si accese a tal punto che il tribuno, temendo che Paolo venisse
    linciato da costoro, ordinò che scendesse la truppa a portarlo via di mezzo a loro e ricondurlo
    nella fortezza.” (Atti, 23; 1-10)
    Giuseppe era un sacerdote di alto rango e a quel tempo si trovava a Gerusalemme; era
    certamente presente a quell’assemblea. Egli aveva aderito alla setta dei farisei all’età di 19 anni,
    pertanto doveva essere fra quei sacerdoti che si alzarono in difesa di Paolo. L’apostolo fu
    consegnato al governatore romano Felice, che lo tenne agli arresti per qualche tempo, fino a che fu
    inviato a Roma, insieme ad altri prigionieri (Atti 27, 1), per essere giudicato dall’imperatore, al
    quale Paolo, in qualità di cittadino romano, si era appellato. A Roma egli passò due anni in prigione
    (Atti, 28,29) prima di essere liberato, nel 63 o 64 d.C.
    9
    Nel sua autobiografia Giuseppe scrive:
    “Tra i venticinque ed i ventisei anni mi imbarcai in un viaggio a Roma, per la seguente
    ragione. Durante il periodo in cui fu governatore della Giudea, Felice aveva mandato alcuni
    sacerdoti a Roma, per giustificarsi di fronte all’imperatore. Io li conoscevo come ottime
    persone, che erano state arrestate su accuse insignificanti. Siccome volevo studiare un piano
    per liberarli … mi imbarcai per Roma” (Vita, 3, 13).
    In qualche modo Giuseppe riuscì a raggiungere Roma, dove strinse amicizia con un certo
    Alituro, un mimo giudeo che era molto apprezzato da Nerone. Tramite Alituro, egli fu presentato a
    Poppea, moglie dell’imperatore, e grazie a lei riuscì a far liberare i sacerdoti suoi amici (Vita 3, 16).
    La coincidenza di date, fatti e persone coinvolte è assoluta, al punto che è impossibile sfuggire alla
    conclusione che Giuseppe venne a Roma, a suo rischio e spese, appositamente per liberare Paolo ed
    i suoi compagni, e che fu proprio grazie al suo intervento che l’apostolo fu rilasciato. Questo
    presuppone che i rapporti fra i due fossero molto più stretti che non una semplice conoscenza
    occasionale. Pertanto Giuseppe doveva conoscere del cristianesimo molto più di quanto traspare dai
    suoi scritti, e la sua conoscenza proveniva direttamente dagli insegnamenti di Paolo, di cui era
    verosimilmente un discepolo.
    Quando Giuseppe tornò a Roma al seguito di Tito, nel 70 d.C., il suo maestro era stato
    giustiziato, insieme a una gran parte dei cristiani che lui stesso aveva convertito, la Giudea era sta
    cancellata dal novero delle nazioni, il Tempio distrutto, la famiglia sacerdotale quasi sterminata, e la
    sua stessa reputazione macchiata dall’onta del tradimento. Doveva essere animato da un forte
    risentimento e da un irreprimibile desiderio di rivincita e vendetta. Inoltre doveva sentirsi in carico
    dei destini degli umiliati rimasugli di una delle più grandi famiglie del mondo di allora, i 15 alti
    sacerdoti giudaici che condividevano le sue stesse condizioni. Ci sono indizi secondo cui Giuseppe
    Flavio, senza dubbio la personalità più forte ed autorevole di quel gruppo di persone, presiedette
    una riunione durante la quale quei sacerdoti esaminarono la situazione della famiglia sacerdotale e
    decisero una strategia per risollevare le sue fortune.
    Giuseppe lucidamente concepì un piano che in quelle circostanze sarebbe apparso a chiunque
    assolutamente folle. Quell’uomo, seduto fra le rovine fumanti di quella che era stata la sua patria,
    circondato da pochi sopravvissuti, umiliati e demoralizzati, rifiutati dai loro stessi concittadini,
    progettò nientemeno che di conquistare quell’enorme potentissimo impero che lo aveva sconfitto, e
    di insediare i propri discendenti e quelli degli uomini intorno a lui quale classe dirigente di quello
    stesso impero.
    Il primo passo di questa strategia era di assumere il controllo della neonata religione cristiana e
    trasformarla in una solida base di potere per la famiglia sacerdotale. Quei sacerdoti erano venuti a
    Roma al seguito di Tito, di cui godevano la protezione, ed erano provvisti di grandi mezzi
    economici. Non dovettero incontrare eccessive difficoltà nell’assumere la guida del piccolo gruppo
    di cristiani che erano sopravvissuti alle persecuzioni neroniane, tanto più che erano legittimati dai
    precedenti rapporti di Giuseppe Flavio con Paolo.
    Erano trascorsi soltanto sei anni da quando Giuseppe aveva ottenuto la liberazione di Paolo
    dalla prigione. L’apostolo doveva essere morto da non più di tre anni. Giuseppe deve essersi sentito
    moralmente obbligato a continuare l’opera del suo vecchio maestro, di cui conosceva perfettamente
    la dottrina; rendendosi conto del suo potenziale di propagazione nel mondo romano, si dedicò
    anima e corpo alla sua implementazione pratica, coadiuvato dai sacerdoti superstiti. Una volta
    ricreata una forte comunità cristiana nella capitale, che comprendeva addirittura alcuni membri
    della famiglia imperiale, non dovette essere difficile per quei sacerdoti imporre la propria autorità
    sulle altre comunità cristiane sparse per l’impero, prime fra tutte quelle che erano state create o
    catechizzate dallo stesso Paolo.





    Giuseppe Flavio ed il Sol Invictus Mitra






    Giuseppe Flavio sapeva fin troppo bene che una religione non ha futuro se non entra a far parte
    integrante di un sistema di potere politico. Era un concetto, per così dire, innato nel DNA dei
    sacerdoti di Giuda che religione e potere politico vivono in simbiosi, sostenendosi a vicenda. Non è
    immaginabile che egli pensasse che la nuova religione potesse diffondersi nell’impero
    indipendentemente, o addirittura in contrasto con il potere politico. Il suo obiettivo primario,
    pertanto, dovette essere quello di conquistare il potere politico. Grazie alla millenaria esperienza
    della sua famiglia ed alla sua stessa esperienza di vita, Giuseppe sapeva bene che il potere politico,
    specie in un organismo elefantiaco come l’impero romano, era basato sul potere militare, ed il
    potere militare su quello economico, a sua volta basato sulla capacità di influenzare e controllare le
    leve finanziarie del paese. Nel suo piano egli deve aver programmato che la famiglia sacerdotale
    assumesse prima o poi il controllo di queste leve. Allora l’impero sarebbe stato nelle sue mani e la
    nuova religione sarebbe stato lo strumento per controllarlo.
    Ma qual era il piano di Giuseppe Flavio per realizzare questo ambizioso progetto? Non dovette
    inventare nulla di nuovo. Il modello era già lì, l’organizzazione segreta creata da Esdra al rientro
    dall’esilio babilonese, la quale aveva assicurato alla famiglia sacerdotale giudaica potere e
    prosperità per mezzo millennio. Dovette apportarvi soltanto alcuni ritocchi, per mimetizzare questa
    istituzione nel mondo pagano sotto le sembianze di una religione misterica, dedicata al dio greco
    Helios, il sole, per l’indubbia assonanza con il nome della divinità ebraica El, o El Elyon. Il dio fu
    presentato come invincibile, il Sol Invictus, per galvanizzare lo spirito dei suoi adepti, ed al suo
    fianco fu posto, come inseparabile compagno, una divinità solare di quella stessa Mesopotamia da
    dove gli ebrei avevano avuto origine, Mitra, l’inviato del Sole sulla terra per redimere l’umanità. E
    tutto attorno ad essi, nei mitrei, furono poste le statue di varie divinità pagane, Atena, Ercole,
    Venere e così via. L’insieme era un evidente riferimento a Dio Padre, ed al suo inviato sulla terra
    Gesù, circondati dai loro attributi di saggezza, forza, bellezza e così via, che era chiaramente
    comprensibile ad un cristiano, ma era perfettamente pagano agli occhi di un pagano.
    Questa organizzazione non aveva alcun fine religioso: il suo unico scopo era preservare l’unione
    fra le famiglie sacerdotali e garantire loro sicurezza e prosperità, tramite il mutuo supporto ed una
    strategia comune intesa ad infiltrare tutte le posizioni di potere della società romana. I lavori che
    venivano svolti nei mitrei erano coperti dal più rigoroso segreto. Nonostante l’organizzazione
    mitraica abbia operato per tre secoli ed abbia avuto migliaia di adepti, molti dei quali eminenti
    letterati, non è giunta fino a noi neppure una parola, scritta direttamente da un suo membro, su quel
    che accadeva nel corso delle riunioni mitraiche, quali decisioni venivano prese e così via. Questo
    significa che fu sempre mantenuto il più rigoroso riserbo sui lavori che venivano svolti in un mitreo.
    L’accesso all’organizzazione doveva essere riservato ai soli membri delle famiglie sacerdotali,
    almeno al livello operativo, quello decisionale, dal terzo grado in su (occasionalmente potevano
    essere affiliate nei primi due gradi persone non appartenenti a queste famiglie, come nel caso
    dell’imperatore Commodo). Questo sistema di reclutamento è perfettamente in linea con le
    evidenze storiche ed archeologiche in nostro possesso. Anche al culmine del suo potere e
    diffusione, il Sol Invictus Mitra appare una istituzione di elite, con un numero assai limitato di
    adepti. La maggior parte dei mitrei, infatti, erano stanze molto piccole, che non potevano ospitare
    più di una ventina di persone. Certamente, quindi, non era una religione di massa, ma
    un’organizzazione a cui potevano accedere soltanto i vertici delle forze armate e della burocrazia
    imperiale. Tuttavia non conosciamo assolutamente nulla della politica di reclutamento di questa
    istituzione. Non sappiamo se reclutasse i suoi membri fra gli alti ranghi della società romana, o se al
    contrario erano i membri di questa organizzazione che “infiltravano” tutte le posizioni di potere di
    questa società. Le evidenze storiche in nostro possesso favoriscono l’ipotesi che l’appartenenza a
    questa istituzione fosse riservata su base etnica. Per capire il suo successo, dobbiamo ritenere che
    11
    l’accesso ad essa, almeno al livello operativo, fosse riservato ai discendenti di quel gruppo di
    sacerdoti giudaici che erano venuti a Roma al seguito di Tito, dopo la distruzione di Gerusalemme.
    Il Sol Invictus Mitra conquista l’impero romano
    Sia le fonti scritte che le testimonianze archeologiche confermano che da Domiziano in poi
    Roma rimase sempre la sede più importante del Sol Invictus Mitra, che si era saldamente installato
    nel cuore stesso dell’amministrazione imperiale, sia nel palazzo vero e proprio che nella guardia
    pretoriana. Da Roma l’organizzazione mitraica si diffuse immediatamente nella vicina Ostia, il
    porto con il più grande volume di traffico commerciale dell’intero Mediterraneo, dove confluivano
    merci da ogni parte dell’impero, per soddisfare l’insaziabile appetito della capitale. Nel corso del
    secondo e terzo secolo vi furono costruiti almeno una quarantina di mitrei, evidente dimostrazione
    che i membri dell’organizzazione mitraica avevano assunto il controllo delle attività commerciali
    del porto, sorgente di entrate incalcolabili e di grande potere economico.
    Nel contempo l’istituzione mitraica si diffuse in tutto il resto dell’impero, in particolare in
    quello occidentale. Il primo mitreo di cui si abbia notizia al di fuori della cerchia romana fu
    costruito intorno al 110 d.C in Pannonia, a Poetovio, il maggior centro doganale della regione ad
    opera dei funzionari della dogana. Quasi contemporaneamente sorse un mitreo presso la
    guarnigione militare di Carnutum, sempre in Pannonia e subito dopo in tutte le province danubiane
    (Rezia, Norico, Mesia e Dacia). Tra gli adepti di Mitra ritroviamo i funzionari delle dogane, che
    raccoglievano le gabelle poste su ogni genere di trasporto dall’Italia verso il Centro Europa e
    viceversa; i funzionari imperiali che controllavano i trasporti, la posta, l’amministrazione delle
    finanze e le miniere; ed infine gli ufficiali che comandavano le guarnigioni scaglionate lungo il
    confine. Contemporaneamente al bacino danubiano, sorsero numerosi mitrei anche nel bacino del
    Reno, a Bonn e Treviri. Seguirono poi la Britannia, la Spagna ed il Nord Africa, dove sorsero mitrei
    già nelle prime decadi del secondo secolo, sempre associati a centri amministrativi e guarnigioni
    militari.
    Le evidenze archeologiche, quindi, dimostrano che nel corso del secondo secolo i membri del
    Sol Invictus Mitra occuparono le principali posizioni dell’amministrazione pubblica, divenendo la
    classe dominante nelle province esterne dell’impero, soprattutto nell’Europa centrale e
    settentrionale. Abbiamo visto in precedenza che i membri del Sol Invictus Mitra avevano infiltrato
    anche la tradizionale religione pagana, assumendo il controllo del culto delle principali divinità, a
    cominciare dal Sole.
    La mossa vincente, tuttavia, quella che rese irresistibile l’ascesa dell’istituzione mitraica, fu la
    presa di controllo dell’esercito. Giuseppe Flavio sapeva per esperienza personale che l’esercito
    poteva diventare l’arbitro del trono imperiale. Chiunque controllava l’esercito controllava l’impero.
    L’obiettivo principale che egli fissò per l’organizzazione mitraica dovette essere quello di infiltrare
    l’esercito e assumerne il controllo.
    Ed infatti ritroviamo mitrei in tutti i luoghi in cui erano stazionate delle guarnigioni militari. In
    poco meno di un secolo l’istituzione mitraica riuscì ad assumere il controllo di tutte le legioni
    stazionate nelle province esterne e lungo i confini, al punto che il “culto” del Sol Invictus Mitra è
    considerato dagli storici come la religione tipica dei soldati romani. Prima ancora che all’esercito,
    tuttavia, le attenzioni del Sol Invictus si erano rivolte alla guardia pretoriana, la guardia personale
    dell’imperatore. Non è un caso che la seconda iscrizione dedicatoria mitraica, in ordine di tempo,
    riguardi proprio un comandante del Pretorio e che la concentrazione di mitrei fosse particolarmente
    elevata nei pressi delle caserme dei pretoriani. L’infiltrazione di questo corpo militare deve essere
    iniziata già al tempo degli imperatori Flavii. Essi potevano contare sulla fedeltà incondizionata dei
    liberti giudaici, che dovevano tutto ad essi, la loro vita, la sicurezza ed il benessere. Gli imperatori
    romani erano riluttanti a mettere la propria sicurezza personale nelle mani di ufficiali provenienti
    dai ranghi del senato, il loro maggior opponente politico, pertanto i quadri della loro guardia
    12
    personale furono formati principalmente da liberti e membri dell’ordine equestre (a cui fu sempre
    riservato il comando del Pretorio). Questo dovette favorire in modo particolare il Sol Invictus Mitra,
    che fece del Pretorio un suo feudo incontrastato fin dagli inizi del secondo secolo.
    Una volta acquisito il controllo del pretorio e dell’esercito, il Sol Invictus Mitra fu in grado di
    mettere le mani anche sulla carica imperiale. Questo avvenne nel 193 d.C., quando Settimio Severo
    fu proclamato imperatore dall’esercito. Nato a Leptis Magna, nel Nord Africa, da una famiglia
    equestre di alti burocrati, egli era certamente un membro mitraico, avendo sposato Giulia Domna,
    sorella di un certo Bassiano, sacerdote del Sole Invitto. Da allora in poi la carica imperiale fu
    prerogativa del Sol Invictus Mitra e tutti gli imperatori furono proclamati tali (o rimossi)
    dall’esercito o dalla guardia pretoriana.
    Giudicando in prospettiva, appare evidente che l’obiettivo finale della strategia concepita da
    Giuseppe Flavio era la completa sostituzione della classe dirigente dell’impero romano con membri
    del Sol Invictus Mitra. Questo obiettivo fu conseguito in meno di due secoli, grazie alla politica
    messa in atto dagli imperatori mitraici.
    I ranghi dell’amministrazione imperiale romana provenivano quasi totalmente da nuove
    famiglie di origine ignota, che erano emerse nel corso del primo secolo e agli inizi del secondo, in
    antagonismo all’aristocrazia senatoriale, tradizionalmente contrapposta al potere dell’imperatore.
    Questo gruppo di famiglie formavano il cosiddetto ordine equestre, che ben presto divenne un feudo
    incontrastato del Sol Invictus Mitra. Certamente la maggior parte delle famiglie dei 15 alti sacerdoti
    del seguito di Giuseppe Flavio, ricchi, con ottime relazioni interpersonali e forti del favore
    imperiale, dovettero confluire in questo ordine.
    Gli imperatori mitraici provenivano tutti dall’ordine equestre e governarono in aperta
    opposizione al senato, umiliandolo, privandolo delle proprie prerogative e beni materiali e
    colpendolo fisicamente con l’esilio e la condanna capitale di un gran numero dei suoi membri più
    eminenti, tanto che nel corso del terzo secolo buona parte delle antiche famiglie senatoriali
    scomparvero dalla scena. Contemporaneamente essi cominciarono ad immettere nel senato un gran
    numero di famiglie equestri. Questa politica era stata iniziata da Settimio Severo e sviluppata da
    Gallieno (il quale, è bene ricordarlo, fu anche l’autore del primo editto di tolleranza nei confronti
    del Cristianesimo), che stabilì per decreto che tutti coloro che avevano ricoperto la carica di
    governatori di provincia o di prefetto del pretorio, incarichi riservati entrambi all’ordine equestre,
    entrassero di diritto a far parte del senato. Questo diritto fu poi esteso ad altre categorie di
    funzionari, grandi burocrati ed alti ufficiali dell’esercito (tutti membri dell’organizzazione mitraica,
    dobbiamo supporre). Il risultato finale fu che nel giro di alcuni decenni praticamente l’intera classe
    equestre transitò nei ranghi del senato, soppiantando le famiglie della originaria aristocrazia romana
    ed italica.
    Nel frattempo la diffusione del cristianesimo attraverso l’impero procedeva speditamente.
    Ovunque arrivassero i rappresentanti di Mitra, lì immediatamente sorgeva una comunità cristiana.
    Alla fine del secondo secolo si contavano almeno quattro sedi episcopali in Britannia, sedici in
    Gallia ed altrettante in Spagna e praticamente una in ogni grande città del Nord Africa e del Medio
    Oriente. Nel 261 il Cristianesimo fu riconosciuto come religione lecita dal mitraico Gallieno e
    mezzo secolo dopo fu proclamata religione ufficiale dell’impero dal mitraico Costantino, sebbene
    fosse ancora largamente minoritaria nella società romana (i cristiani erano allora assai meno del
    20% dell’intera popolazione). Da quel momento in poi fu gradualmente imposta alla popolazione
    dell’impero, con una serie di misure che culminarono, alla fine del quarto secolo, con l’abolizione
    delle religioni pagane e la “conversione” in massa del senato romano.
    La situazione finale per quanto concerne le classi dirigenti dell’impero occidentale era allora la
    seguente: l’antica nobiltà di origine pagana era virtualmente scomparsa e la nuova nobiltà
    senatoriale, che si identificava con la classe dei grandi proprietari terrieri, era costituita in gran parte
    da ex membri del Sol Invictus Mitra. Sul piano religioso il paganesimo era stato completamente
    eliminato ed il cristianesimo era divenuto la religione di tutti gli abitanti dell’impero. Esso era
    controllato da gerarchie ecclesiastiche che provenivano quasi interamente dalla classe senatoriale ed
    13
    erano dotate di immense proprietà fondiarie (fra l’altro esenti da tasse) e di poteri quasi reali
    nell’ambito delle proprie diocesi.



    Le famiglie sacerdotali erano diventate padrone assolute di quello stesso impero che aveva
    distrutto Israele ed il tempio di Gerusalemme. Tutte le alte cariche dell’impero, sia civili che
    religiose, e tutta la sua ricchezza erano nelle loro mani, e la carica suprema, quella dell’imperatore,
    era stata assegnata in perpetuo, per diritto divino, alla più illustre delle tribù sacerdotali, la “Gens
    Flavia” (da Costantino in poi, infatti, tutti gli imperatori romani o pretendenti tali, nessuno escluso,
    avevano il prenome Flavio), verosimilmente discendente dallo stesso Giuseppe Flavio.





    Tre secoli prima Giuseppe aveva scritto con orgoglio:
    “La mia famiglia non è oscura, anzi è di discendenza sacerdotale; come presso ciascun popolo
    esiste un diverso fondamento della nobiltà, così da noi l’eccellenza della stirpe trova conferma
    nell’appartenenza all’ordine sacerdotale” (Vita 1,1).
    Alla fine del quarto secolo i suoi discendenti potevano applicare con pieno diritto quelle stesse
    parole all’impero romano.


    A quel punto l’istituzione del Sol Invictus Mitra non era più necessaria per assicurare le fortune
    della famiglia sacerdotale e fu liquidata. Era stata lo strumento della cospirazione più di successo
    dell’intera Storia.
    14
     
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    Salvo questo ottimo studio , di cui non conosciamo l' autore .


    http://episophia.files.wordpress.com/2012/...galilee_nxs.pdf




    MITRAISMO E CRISTIANESIMO

    LA COSPIRAZIONE PIU’ DI SUCCESSO DELL’INTERA STORIA UMANA






    Vicisti Galilee!


    Una ben nota tradizione cristiana narra che l’imperatore Giuliano, colpito da una lancia persiana
    e sbalzato a terra dalla groppa del suo cavallo, prima di esalare l’ultimo respiro sollevò una mano al
    cielo in un gesto di rabbia e di sfida, gridando: “Vicisti Galilee!”.


    Si tratta di una tradizione fantasiosa, che non ha nulla a che vedere con i fatti come si sono
    realmente svolti, creata da un cristianesimo che voleva accreditare l’immagine di un imperatore
    impegnato in una titanica lotta contro Cristo, il “Galileo”, uscendone alla fine sconfitto. Una
    tradizione fantasiosa creata per supportare un’immagine storicamente infondata. Ed anche il
    concetto che questa immagine vuole trasmettere, e cioè che gli ideali per cui Giuliano si era
    adoperato e battuto nel corso del suo breve regno fossero usciti definitivamente sconfitti, è tutt’altro
    che sostenibile. Meno di trent’anni dopo, infatti, quegli ideali trovarono pratica attuazione per opera
    dello stesso cristianesimo trionfante.



    Giuliano è passato alla storia con l’epiteto di “Apostata”, non del tutto appropriato, in quanto
    egli non era mai stato battezzato, anche se possedeva una conoscenza molto approfondita della
    religione cristiana, al punto da discutere con cognizione di causa sulle sue incongruenze, citando a
    memoria lunghi passi della Bibbia. Le sue critiche al cristianesimo, però, erano puramente
    filosofiche e dottrinali; egli non perseguitò mai la Chiesa, ed anzi proibì espressamente e condannò
    con fermezza ogni forma di violenza contro i cristiani.



    Gli storici moderni lo hanno definito l’ultimo imperatore “pagano”, per gli sforzi che profuse
    nel rivitalizzare e moralizzare i più noti culti pagani dell’antichità. Ma questo non gli impedì di far
    completare la chiesa di Santa Costanza, a Roma, per farvi seppellire la propria moglie Elena, e di
    essere sepolto lui stesso nella basilica dei dodici Apostoli, a Costantinopoli. Né gli impedì di
    ordinare la ricostruzione del tempio ebraico di Gerusalemme (i lavori, in effetti, furono iniziati, ma
    interrotti subito dopo, a quanto si dice a causa di un terremoto).



    In realtà Giuliano non era né cristiano, né propriamente pagano; era un adepto del Sol Invictus
    Mitra, come prima di lui suo zio Costantino il Grande e come la maggior parte dei senatori romani
    del suo tempo.


    Sul mitraismo sono state scritte, soprattutto nell’ultimo secolo, una enorme quantità di opere,
    che però ne forniscono un’immagine del tutto irreale ed estremamente confusa e contraddittoria. La
    confusione nasce dal fatto che tutti gli storici moderni lo considerano una vera e propria religione,
    La convinzione che il Sol Invictus Mitra fosse una religione si è consolidata con lo storico
    Cummont, che alla fine del 19.mo secolo ha scritto quella che da allora è ritenuta l’opera
    fondamentale sul mitraismo, partendo dal presupposto esplicito, vero e proprio postulato privo di
    qualsivoglia supporto bibliografico o archeologico, che esso fosse stato importato dalla Persia da un
    qualche ignoto legionario romano. Ed infatti il Cummont dedica buona parte della sua opera a
    descrivere la religione solare persiana e le sue varie diramazioni e filiazioni orientali, come il
    Mazdeismo, il Magismo e così via.



    Uno dei maggiori studiosi moderni del mitraismo, M.J. Vermaseren, condivide l’impostazione
    di Cummont, ma avverte: “Gli studiosi dei misteri di Mitra si trovano di fronte ad una difficoltà
    insormontabile e cioè: per quanto riguarda la forma persiana del mitraismo esistono soltanto
    evidenze letterarie, mentre il Mitra del mondo romano ci è noto quasi esclusivamente attraverso
    fonti non letterarie, archeologiche. Franz Cummont, quel brillante studioso morto nel 1947, ha
    chiaramente descritto questa situazione nel suo libro Die Mysterien des Mithra: ‘E’ come se, egli
    scrive, volessimo studiare il cristianesimo avendo a disposizione soltanto il Vecchio Testamento e le
    cattedrali medioevali’. A causa di questo enorme divario fra le fonti di informazione, la storia di
    Mitra è destinata a rimanere per sempre incompleta e distorta.”



    In altre parole, abbiamo da una parte una religione persiana di Mitra, sulla quale esiste una
    abbondante letteratura, ma nessun resto archeologico, o quasi; dal lato romano, invece, abbiamo
    centinaia di mitrei ed altre testimonianze archeologiche relative a Mitra, ma pochissime
    testimonianze letterarie sull’argomento, nessuna delle quali proveniente dall’interno stesso
    dell’organizzazione, e cioè da uno dei suoi membri. Il problema nasce appunto dal fatto che
    Cummont ha postulando fin dall’inizio della sua ricerca, senza mai dimostrarlo, che il culto di Mitra
    quale veniva professato nell’impero romano fosse la fotocopia della religione persiana.



    Questo postulato è stato accettato acriticamente da quasi tutti gli studiosi successivi, che si sono
    in maggioranza dedicati ad interpretare le evidenze archeologiche romane alla luce della letteratura
    persiana. ad approfondire i vari aspetti del magismo persiano, o a ricostruire gli aspetti esoterici ed
    astrologici del mitraismo romano, basandosi sulle scarne notizie fatte filtrare dalle fonti antiche ed
    integrandole arbitrariamente con elementi presi a prestito dalle fonti orientali e dalla mitologia
    greco-romana, per cercare di ricostruire in qualche modo contenuti e significati dei vari gradi
    iniziatici in cui l’istituzione mitraica era suddivisa. Ne risulta un quadro complessivo irreale, in
    stridente contrasto con quella che appare essere la realtà storica ed archeologica di questa
    istituzione.



    In realtà se c’è una cosa che appare con assoluta evidenza da tutto il materiale disponibile è che
    il cosiddetto culto di Mitra, a Roma, non era una religione, ma una confraternita di iniziati, divisa in
    vari livelli di iniziazione, che dalla religione orientale aveva preso a prestito soltanto il nome ed
    alcune simbologie esteriori. Quanto ai contenuti, scopi e modi operativi, niente accomuna il Mitra
    persiano e quello romano. L’istituzione mitraica romana in nessun modo può essere definita come
    una religione dedita al culto del sole. Sarebbe come dire che la massoneria moderna è una religione
    dedita al culto del Grande Architetto dell’Universo.



    Il paragone con la massoneria aiuta a capire che genere di istituzione fosse quella mitraica. Si
    tratta, infatti, di istituzioni sostanzialmente simili negli aspetti essenziali. Agli adepti della
    massoneria non viene richiesto di professare una particolare religione, ma soltanto di credere
    nell’esistenza di un’Entità superiore, comunque definita. Questa entità viene rappresentata nei
    templi massonici (che per inciso hanno straordinari punti di similitudine con i mitrei romani, e sono
    popolati di divinità pagane, come Ercole, Minerva e Venere) con un sole inserito in un triangolo e
    con il nome di Grande Architetto dell’Universo, che, guarda caso, è lo stesso che i pitagorici
    attribuivano al Sole. Nei templi vengono effettuati cerimoniali e rituali di iniziazione e di
    apertura/chiusura “lavori”, mai, però, a carattere religioso. La religione è espressamente bandita dai
    templi massonici ed ogni adepto, nella sua vita privata, è libero di professare il credo che più gli
    aggrada.



    Che ci sia una qualche connessione fra mitraismo e massoneria è tutt’altro che improbabile, dal
    momento che ci sono profonde similitudini nell’architettura e nelle decorazioni dei rispettivi templi,
    nei simbolismi, nei rituali e così via; ma non è materia che possa essere trattata in questa sede. Il
    paragone è stato introdotto al solo scopo di far capire quale tipo di istituzione fosse il mitraismo, che
    non era una religione dedita al culto di una qualche specifica divinità, ma una associazione segreta
    di mutua assistenza, i cui membri, nella loro vita pubblica, erano liberi di venerare qualsiasi divinità.
    E’ l’unica chiave di lettura che consenta di capire e conciliare le innumerevoli contraddizioni ed
    incongruenze, cui ci si trova confrontati quando si voglia intendere il mitraismo come una religione.
    Che il mitraismo non fosse una vera e propria religione è provato anche, come vedremo in
    seguito, dalle attività in campo religioso dei suoi adepti, fra cui lo stesso Giuliano. Egli fece
    costruire un mitreo nel suo palazzo, ma non vedeva nessuna delle divinità venerate nell’impero
    come “concorrente” di Mitra; si adoperò anzi in ogni modo perché tutte avessero pari dignità e
    rispetto. Questo era assolutamente tipico della filosofia dell’organizzazione mitraica, come viene
    spiegato approfonditamente nell’opera “Saturnalia”, composta intorno al 430 (ben dopo l’abolizione
    del paganesimo, quindi) dall’eminente scrittore Macrobio, supposto pagano.



    In essa il senatorePretestato, Pater Patrum del culto mitraico (la massima carica dell’organizzazione), in amabile
    conversazione con i grandi senatori mitraici Simmaco e Nicomaco Flaviano, si dilunga a spiegare
    come tutte le divinità pagane non siano altro che diverse manifestazioni, o anche diverse
    denominazioni, di un unico Ente superiore, rappresentato dal Sole, il Grande Architetto
    dell’Universo. “




    Paganesimo monoteista” l’ha definito qualcuno, mentre altri parlano genericamente
    di sincretismo religioso. In effetti tutte le religioni avevano pari dignità nei mitrei, dove
    comparivano le immagini delle principali divinità pagane ed i cui adepti si professavano
    pubblicamente devoti alle più disparate divinità, ivi comprese quella cristiana ed ebraica.
    In quanto mitraico, Giuliano condivideva questa filosofia. Il grande ideale che egli sognò di
    realizzare era perfettamente in linea con la filosofia sincretistica e tollerante del Sol Invictus Mitra.




    Egli progettò, infatti, di fondere tutte le confessioni dell’impero in un’unica super religione, retta da
    una casta sacerdotale e da una liturgia sincretistica unificate.
    Egli cominciò con il richiamare dall’esilio e reinsediare nelle loro sedi i vescovi ortodossi
    allontanati dal suo predecessore, l’ariano Costanzo; ma contemporaneamente pubblicò un editto di
    restituzione dei beni e della libertà di culto per il paganesimo. Poi si dedicò alla riorganizzazione
    delle gerarchie dei sacerdoti pagani, sul modello dell’organizzazione sacerdotale cristiana. Per ogni
    provincia creò un gran sacerdote, non solo per il culto imperiale, ma anche per il complesso di tutti i
    culti tributati agli dei, compreso quello cristiano. Di questi provvedimenti sono state tramandate
    varie lettere di Giuliano, che appaiono quasi delle vere e proprie encicliche, o lettere pastorali. In
    esse l’imperatore si occupava di reclutamenti, consuetudini di vita, formazione e trattamento
    economico dei sacerdoti, del servizio divino, che doveva essere tenuto tre volte al giorno, della
    fondazione di case per le vergini dedite alla vita ascetica (conventi, in pratica), e di ospizi. Inoltre
    Giuliano fece redigere opuscoli informativi per sacerdoti e libri di istruzione per l’insegnamento
    religioso.




    Questo era il grande progetto di Giuliano che, stando all’anonimo estensore cristiano della
    leggenda sulla sua morte, sarebbe stato sconfitto dal “Galileo”, per mezzo di una lancia persiana.
    Questo stesso progetto trovò invece pratica attuazione 27 anni dopo la morte di Giuliano, ad opera
    dell’imperatore Teodosio che nel 392 emanò un decreto che aboliva ufficialmente il paganesimo ed
    imponeva a tutti i sudditi dell’impero di professare la religione cristiana di Roma. Dobbiamo
    concludere che il “Galileo” abbia trionfato, dunque? Sembrerebbe proprio di si. Ma a ben guardare
    la religione che viene professata in suo nome assomiglia in modo impressionante a quella super
    religione vagheggiata da Giuliano, che doveva unificare tutti i culti professati nell’impero.
    Anche l’ideale di Giuliano, quindi, alla fine ha trionfato. Quello che era risultato perdente (ma
    forse la storia sarebbe andata diversamente, se l’ultimo imperatore “pagano” avesse avuto più
    tempo) era soltanto il metodo attraverso cui egli si illudeva di poter realizzare quell’ideale, e cioè
    attraverso la tolleranza reciproca. Teodosio, invece, aveva capito che l’unico modo per arrivarci era
    l’intolleranza. I templi pagani vennero chiusi o distrutti ed ogni forma di culto pagano proibita; ma
    simboli, rituali, usanze, festività ed in molti casi anche lo stesso clero vennero assorbiti in toto nel
    cristianesimo.




    La religione cristiana si autoproclama monoteista, ma al di là delle dichiarazioni di principio
    non è più monoteista di quanto lo fosse il mitraismo. L’Ente Supremo, infatti, è costituito in realtà
    da una Trinità, costituita da un Dio Padre, eterno, onnipotente, onnipresente, creatore di tutte le
    cose; dal suo Figlio unigenito, che ha iniziato ad esistere incarnandosi nel ventre di una donna, per
    opera di un terzo elemento, non ben definito, lo Spirito Santo. Una cosa che riflette in maniera
    lampante la concezione pagana, è il fatto che il Figlio è salito al “cielo” con il suo stesso corpo
    umano, e si trova lì da qualche parte in carne ed ossa. Non può sfuggire la similitudine con la
    concezione mitraica di un ente supremo, rappresentato dal sole e dal suo inviato in terra Mitra,
    incarnatosi anch’egli in una donna e salito al cielo dopo aver compiuto la sua missione.
    Al di sotto di questa Trinità c’è poi tutta una pletora di vere e proprie “divinità” minori, fra cui
    primeggia in modo assoluto la Madonna, le quali hanno sostituito a tutti gli effetti altrettante
    divinità pagane, di cui hanno spesso assorbito simbolismi e funzioni.



    Alla Madonna e ai santivengono erette chiese e santuari e la maggior parte dei fedeli si rivolgono direttamente ad essi, non
    certo all’Ente Supremo, per ottenere grazie e favori, allo stesso modo in cui i fedeli pagani si
    rivolgevano alle varie divinità minori perché intercedessero presso il padre degli dèi. Ogni categoria
    umana, nel paganesimo, aveva una sua divinità protettrice, come ogni categoria umana, nel
    cristianesimo, ha un suo santo protettore.



    Il Cristianesimo ha poi ereditato in massa simboli e festività tipiche del mitraismo. Il giorno
    sacro al sole è diventato la domenica, sacra al Signore. Il Natalis Solis Invicti è diventato il Natale
    di Gesù. Il simbolo del sole è onnipresente in tutte le chiese cattoliche (basti pensare all’ostensorio)
    e nelle immagini di Dio e dei santi, al punto che se un ipotetico archeologo venuto da un altro
    mondo dovesse giudicare il cristianesimo soltanto dalle immagini e simbolismi che compaiono nelle
    chiese, dovrebbe forzatamente concludere che si tratta di una religione dedita al culto del sole. Si
    tratta, in ogni caso, soltanto di immagini esteriori, perché a livello dottrinale e liturgico ha integrato
    un gran numero di elementi giudaici.



    In conclusione, il cristianesimo ha incorporato, rielaborandoli ed armonizzandoli in una cornice
    dottrinale unitaria, sincretistica, gli elementi essenziali delle maggiori religioni professate
    nell’impero romano, realizzando così, per altra via, il sogno di Giuliano.



    Chi ha vinto, dunque, Giuliano o il “Galileo”? La risposta non può essere che una sola:
    entrambi. Vedremo fra poco, infatti, che mitraismo e cristianesimo non erano nemici giurati e
    neppure antagonisti, come ritenuto da molti storici. Erano due facce di una stessa medaglia,
    entrambi funzionali allo stesso scopo e cioè al successo della più grande, ardita e fortunata
    cospirazione dell’intera storia umana.




    Mitra e Gesù, due facce della stessa medaglia






    Nel 384 d.C. moriva a Roma il senatore Vettio Agorio Pretestato, ultimo papa (acronimo di
    pater patrum) di quello che impropriamente viene definito “culto” di Mitra.
    Il suo nome e le sue varie cariche religiose e politiche sono incisi sul basamento della facciata
    della Basilica di San Pietro, in Vaticano, insieme ad una lunga lista di altri senatori romani, stilata
    fra il 305 ed il 390. La cosa che li accomuna è che sono tutti patres mitraici; e ben nove di essi
    rivestono il titolo supremo di Pater Patrum, a riprova del fatto che era qui, nel Vaticano, che si
    trovava la sede del capo supremo dell’organizzazione mitraica, fianco a fianco, se non addirittura
    l’una dentro l’altra, con la Basilica fatta erigere nel 320 dall’imperatore Costantino.



    Per quasi settant’anni i capi supremi di due “religioni” che si è sempre voluto far apparire
    concorrenti ed in aspro conflitto fra loro, hanno convissuto pacificamente ed in perfetta armonia
    nella stessa sede. Quanto fosse pacifica la convivenza è provato dal fatto che fu lo stesso Pretestato,
    nel 367, in qualità di Prefetto dell’Urbe, a confermare sul trono di Pietro il vescovo Damaso.
    Pretestato affermava che avrebbe volentieri accettato di farsi battezzare, se gli avessero offerto
    la cattedra di Pietro. Quel che successe alla sua morte, invece, fu esattamente il contrario.



    Il titolo di Pater Patrum ricadde (oggi si direbbe per default) sul vescovo Siricio, che fu il primo nella storia
    della Chiesa ad assumere l’appellativo di “papa”. Ed insieme ad esso anche tutta una serie di altre
    prerogative, titoli, simbologie e beni materiali passarono in massa dal mitraismo al cristianesimo.
    Per capire quello che appare come un vero e proprio “passaggio di consegne” fra il papa
    mitraico e quello cristiano, bisogna risalire all’anno prima. Nel 383, infatti, il senato romano aveva
    votato a stragrande maggioranza l’abolizione del paganesimo nell’impero d’occidente. Un voto che
    ha lasciato perplessi gli storici, che si sono spesso domandati se fosse dovuto a intimidazioni
    esercitate dall’imperatore Teodosio o a che altro.



    E’ opinione comune fra di essi, infatti, che il senato romano fosse a quell’epoca in maggioranza
    pagano. Anzi, si trova spesso scritto che proprio il senato costituiva l’ultima roccaforte di resistenza
    del paganesimo contro il cristianesimo trionfante. Un’opinione che contrasta in modo stridente con
    ripetute dichiarazioni di San Ambrogio, il quale in quegli stessi anni affermava che i cristiani erano
    in maggioranza nel senato; affermazioni cui gli storici non hanno mai dato alcun credito, ritenendole
    inattendibili. Chi ha ragione, Ambrogio o gli storici moderni?




    Certamente dobbiamo ritenere del tutto inverosimile che il vescovo di Milano, che apparteneva
    ad una grande famiglia senatoriale e seguiva attentamente le questioni romane, si sbagliasse su una
    questione del genere. D’altro canto, però, non possiamo neppure biasimare gli storici, dal momento
    che prove documentali ed archeologiche confermano che la grande maggioranza dei senatori romani
    erano allora “patres” del Sol Invictus Mitra, e quindi, secondo l’opinione universalmente accettata,
    dichiaratamente pagani.




    Quello che nessuno storico ha mai capito, però, o meglio non ha mai voluto capire nonostante
    numerose evidenze storiche, è che le due condizioni, di adepto del mitraismo e di cristiano (non
    battezzato), non erano affatto incompatibili.





    L’esempio più lampante è costituito dall’imperatore Costantino, ma se ne potrebbe compilare
    una sostanziosa lista. Costantino era adepto del Sol Invictus Mitra e mai lo rinnegò, anche quando si
    proclamava “servo di Dio” e affermava di essere “il vescovo costituito da Dio per l’umanità fuori
    dalla Chiesa”. Il suo biografo Eusebio lo definisce addirittura “il novello Mosé” e “una sorta di
    vescovo universale”. Ma Costantino si fece battezzare solo in punto di morte, continuò per anni a
    battere monete con simboli mitraici da un lato, cristiani dall’altro e innalzò a Costantinopoli una
    statua colossale di se stesso, con simboli mitraici.


    D’altra parte gli stessi senatori mitraici avevano in maggioranza mogli e figlie cristiane, come
    testimoniato, fra gli altri, da San Girolamo. Un esempio illustre è quello di San Ambrogio, ritenuto
    dagli storici inizialmente pagano, figlio di un pagano mitraico, il prefetto delle Gallie Ambrogio,
    nonostante non ci sia alcun dubbio che la sua famiglia fosse cristiana e vivesse in ambiente
    profondamente cristiano. Da bambino, infatti, Ambrogio amava giocare a fare il vescovo e nel 353
    sua sorella Marcellina ricevette il velo delle vergini consacrate dal papa Liberio in persona, nella
    basilica di San Pietro. Formalmente, però, egli rimase “pagano” fino al momento stesso in cui fu
    designato vescovo di Milano; fu battezzato, infatti, soltanto quindici giorni prima di essere
    consacrato vescovo.



    Il fatto è che a quell’epoca i cristiani destinati alla carriera politica (Ambrogio era governatore
    del Nord Italia al momento della nomina a vescovo) erano battezzati soltanto in punto di morte,
    oppure quando, per una qualche ragione, decidevano di abbracciare la carriera ecclesiastica. Era la
    prassi, allora. Il senatore Nectarius, per esempio, che era stato designato vescovo di Antiochia dal
    concilio di Costantinopoli del 381, fu costretto a posporre la cerimonia della sua consacrazione
    perché dovette prima provvedere a quella del proprio battesimo.



    Subito dopo il voto di abolizione del paganesimo, i senatori romani abbracciarono in massa la
    fede cristiana (pur continuando a mantenere, in molti casi, mitrei privati), a cominciare da quel
    Simmaco, pater mitraico, che è passato alla storia per la sua strenua quanto vana difesa della
    tradizione “pagana”, di fronte all’imperatore Valentiniano. Pochi anni dopo, infatti, il cristianissimo
    imperatore Teodosio, fanatico persecutore di ogni eresia e residuo pagano, lo gratificò elevandolo
    agli onori del consolato.



    E’ possibile, ci si chiederà, che una persona potesse aderire contemporaneamente a due diverse
    religioni? Qui sta il punto essenziale. Si è già visto come, per un evidente quanto incredibile
    equivoco (ma forse non si sbaglierebbe di molto se si parlasse di deliberata mistificazione), il
    cosiddetto “culto” del Sol Invictus Mithra , è sempre stato ritenuto una “religione”, sorta in parallelo
    al cristianesimo e in concorrenza con esso. C’è addirittura chi ritiene che questa “religione” fosse
    talmente radicata e diffusa nella società romana, che soltanto per un soffio perse la gara con il
    cristianesimo. Più moderatamente, il Renan affermava che se per un qualche accidente il
    cristianesimo fosse abortito nel corso del quarto secolo, il mondo sarebbe stato mitraico.
    E’ un chiaro riconoscimento del potere e del capillare controllo che l’organizzazione mitraica
    aveva conseguito nel corso del quarto secolo sull’intera società romana. Organizzazione segreta di
    tipo esoterico, non certo religione. Nonostante il parere del Renan, infatti, non si riesce proprio ad
    immaginare in che cosa potesse consistere una “religione” mitraica romana, dal momento che gli
    adepti dell’organizzazione si proclamavano pubblicamente fedeli o sostenitori di un gran numero di
    altre divinità, che comprendevano praticamente l’intero olimpo pagano.




    La maggioranza degli storici concordano sul fatto che gli adepti mitraici erano, a modo loro,
    monoteisti. Quello che dimenticano di sottolineare è che, grazie alla loro particolare filosofia
    sincretistica, essi “infiltrarono” e si impadronirono del culto (e delle relative prebende) di tutte le
    divinità pagane.


    Infatti tutte le “grotte” mitraiche ospitavano (esattamente come i templi massonici moderni) una
    schiera di divinità pagane, come Saturno, Atena, Venere, Eercole e così via e gli adepti di Mitra (che
    fra l’altro erano esclusivamente uomini, essendo le donne categoricamente escluse
    dall’organizzazione) nella loro vita pubblica esercitavano la funzione di sacerdoti al servizio non
    soltanto del Sole, che era venerato in templi pubblici ben distinti dai mitrei (che erano invece
    minuscoli vani sotterranei accessibili solo agli adepti, i quali vi tenevano riunioni ammantate dal più
    stretto segreto), ma anche di altre divinità romane.



    Questo è provato al di là di ogni possibile dubbio proprio dalle iscrizioni che si trovano sul
    basamento della Basilica di S. Pietro. Scorrendo la lista dei senatori ivi elencati, infatti, si scopre
    che, oltre al titolo di “patres” del Sol Invictus Mitra, essi ricoprivano anche una lunga serie di
    cariche nel culto di altre divinità, come sacerdos, hieroceryx, hierophanta e archibucolus di Bronto
    o di Ecate, Iside e Libero, maior augur, quindecimvir sacris faciundis e per finire anche pontifex di
    vari culti pagani, e naturalmente erano responsabili del collegio delle vestali e del sacro fuoco di
    Vesta. Non c’era nel Senato alcuna manifestazione di culto legato alla tradizione pagana che non
    venisse celebrata da un senatore mitraico. E quello stesso senatore, il più delle volte, aveva alle
    spalle una famiglia profondamente cristiana. Ed in ogni caso abbracciò immediatamente il
    cristianesimo non appena il paganesimo fu abolito.



    Sorge allora spontanea una domanda: i senatori mitraici erano soltanto pagani o anche cristiani?
    Su questo punto le evidenze in nostro possesso sono piuttosto ambigue. Anche il carattere dello
    stesso Mitra, come viene dipinto dagli scrittori cristiani, è assolutamente ambiguo. Fra lui e Gesù
    esiste una lunga serie di analogie: Mitra era nato in una stalla, il 25 Dicembre, da una madre
    vergine, circondato da pastori che portavano doni. Era venerato nel giorno dedicato al sole, la
    domenica. Attorno alla testa aveva un’aureola. Celebrò un’ultima cena insieme ai suoi seguaci più
    fedeli, prima di far ritorno al a suo padre. Si diceva che non fosse morto, ma che fosse asceso al
    cielo, da dove sarebbe tornato alla fine del mondo, per resuscitare i morti e giudicarli, mandando i
    buoni in paradiso e i cattivi all’inferno. Garantiva ai suoi fedeli l’immortalità, conseguita attraverso
    il battesimo.



    Gli adepti di Mitra, quindi, credevano come i cristiani nell’immortalità dell’anima, nel giudizio
    universale, nella resurrezione dei morti e nella fine del mondo. Celebravano la morte di un salvatore
    che era risorto una domenica. Celebravano una cerimonia analoga alla Messa cristiana, durante la
    quale consumavano pane consacrato e vino in memoria dell’ultima cena di Mitra. E durante la
    cerimonia cantavano inni, suonavano campanelli, accendevano ceri e usavano acqua consacrata.
    Essi condividevano con i cristiani una lunga serie di altre credenze e pratiche rituali, al punto da
    essere praticamente indistinguibili da essi, agli occhi dei pagani ed anche di molti cristiani.



    L’esistenza di una sotterranea connessione tra il cristianesimo ed il mitraismo fin dai primi
    tempi è ammessa anche dai padri della Chiesa. Tertulliano scrive che i pagani “…credono che il Dio
    dei cristiani è il Sole, perché è noto che noi preghiamo rivolti verso il sole nascente e che nel giorno
    del sole facciamo festa (Tertulliano, Ad Nationes, 1, 13). Egli cerca di giustificare la sostanziale
    identità fra le due “religioni” agli occhi dei fedeli cristiani, attribuendola al fatto che satana avrebbe
    plagiato i rituali più sacri e le credenze della religione cristiana. Costantino credeva che Gesù Cristo
    ed il Solo Invictus Mitra fossero entrambi aspetti della stessa divinità superiore. Certamente egli non
    era il solo a nutrire questa convinzione.


    I neoplatonici sostenevano che il mitraismo rappresentava
    un “ponte” fra paganesimo e cristianesimo. Gesù era spesso chiamato con il nome Sol Iustitiae ed
    era rappresentato con statue aventi le sembianze del giovane Apollo (curiosamente anche
    Michelangelo, nel grandioso affresco del Giudizio Universale della cappella Sistina, ha
    rappresentato Gesù con il volto dell’Apollo del Belvedere). Clemente di Alessandria descrive Gesù
    alla guida del carro del sole attraverso il cielo, ed un mosaico del quarto secolo, in Vaticano, lo
    mostra sul carro del sole, mentre ascende al cielo.


    Su alcune monete del quarto secolo lo stendardo cristiano riporta la scritta “Sol Invictus”.

    Un larga parte della popolazione romana pensava che il
    Cristianesimo ed il culto del sole fossero intimamente collegati, se non proprio la stessa cosa.


    Anche dopo l’abolizione del paganesimo, i romani continuarono a lungo a venerare entrambi, sia
    Cristo che il Sole. Nel 410 d.C. papa Innocenzo autorizzò la ripresa di cerimonie in onore del sole,
    sperando in questo modo di scongiurare il sacco di Roma da parte dei Visigoti di Alarico. E ancora
    nel 460 papa Leone il Grande scriveva: “… molti cristiani, prima di entrare nella basilica di San
    Pietro, si rivolgono verso il sole e si inchinano in suo onore”. Il vescovo di Troy continuò a
    professare apertamente il culto del sole anche durante il suo episcopato. Un altro notevole esempio
    in questo senso è dato da Sinesio di Cirene, un discepolo della famosa filosofa neoplatonica Ipazia,
    che fu trucidata nel 415 ad Alessandria d’Egitto. Sinesio, non ancora battezzato, fu eletto vescovo di
    Tolemaide e vescovo metropolitano di Cirenaica, ma accettò la carica soltanto a condizione di non
    dover ritrattare le sue convinzioni neoplatoniche o rinunciare al culto del sole. Ancor oggi il simbolo
    del sole è universalmente presente in tutte le chiese ed in tutti gli oggetti di culto cristiani.




    Alla luce di questi fatti come dobbiamo considerare la posizione dell’istituzione mitraica nei
    confronti del cristianesimo? Erano concorrenti o cooperatori? Amici o nemici? Forse la migliore
    indicazione ci è fornita dalle monete che Costantino fece coniare fino al 320 d. C., con simboli
    cristiani su un lato, mitraici sull’altro. E’ possibile che Cristo e Mitra fossero due facce di una stessa
    medaglia?




    Le origini del Mitraismo e del Cristianesimo





    Per spiegare la stretta relazione esistente fra Cristianesimo e Mitraismo dobbiamo risalire alle
    loro origini.


    Per universale consenso, il cristianesimo come noi lo conosciamo è una creazione di San Paolo,
    il fariseo che fu inviato da Gerusalemme a Roma nel 61 circa, dove fondò la prima comunità
    cristiana della capitale. La religione predicata a Roma da Paolo era assai diversa da quella predicata
    da Gesù in Palestina e praticata da Giacomo il Giusto, l’allora capo della comunità cristiana di
    Gerusalemme. La predicazione di Gesù era in linea con il modo di vivere e pensare della setta
    giudaica degli Esseni. I contenuti dottrinali del cristianesimo affermatosi a Roma alla fine del primo
    secolo, invece, sono straordinariamente vicini a quelli della setta dei farisei, a cui Paolo
    apparteneva.



    Paolo fu condannato a morte probabilmente nel 67 da Nerone, insieme alla maggior parte dei
    suoi discepoli. La comunità cristiana di Roma fu decimata dalla persecuzione neroniana. Non
    abbiamo alcuna informazione su quel che accadde in seno a questa comunità nei successivi 30 anni;
    un black out di notizie che lascia alquanto perplessi, perché sappiamo per certo che durante quel
    periodo a Roma dovette succedere qualcosa di molto importante. Infatti, alcuni dei più eminenti
    cittadini della capitale furono convertiti al cristianesimo, come il console Flavio Clemente, cugino
    dell’imperatore Domiziano. Inoltre la chiesa di Roma assunse una struttura monarchica e impose la
    sua leadership su tutte le comunità cristiane dell’impero, che dovettero uniformarsi al modello ed
    alle credenze della chiesa romana. Questo è provato al di là di ogni dubbio da una lunga lettera di
    papa Clemente ai Corinzi, scritta verso la fine del regno di Domiziano, in cui è chiaramente
    affermata la supremazia della Chiesa di Roma.




    Ciò significa che durante gli anni del black out qualcuno che aveva accesso alla famiglia
    imperiale aveva risollevato le sorti della comunità cristiana romana al punto da consentirle di
    imporre la propria autorità su tutte le altre comunità cristiane dell’impero. Ed era “qualcuno” che
    conosceva perfettamente la dottrina ed il pensiero di Paolo, 100% farisaico.





    Anche l’organizzazione mitraica era nata nello stesso periodo e nello stesso ambiente. Data la
    scarsità di informazioni scritte su questo argomento, l’origine e la diffusione del culto di Mitra ci
    sono note quasi esclusivamente grazie ai reperti archeologici (resti di mitrei, scritte dedicatorie,
    iconografie e statue del dio, rilievi, pitture, mosaici ecc.) che sono stati rinvenuti in abbondanza in
    tutto l’impero romano. Queste testimonianze archeologiche provano in maniera praticamente certa
    che, a parte il nome comune, non c’era alcuna relazione fra il culto di Mitra romano e la religione
    orientale da cui si suppone (o meglio si postula) che sia derivato. In tutto il mondo persiano, infatti,
    non è mai stato trovato nulla di simile ad un mitreo romano.



    Quasi tutti i monumenti mitraici rinvenuti possono essere datati con relativa precisione, dal
    momento che vi si trovano iscrizioni dedicatorie. Pertanto, tempi e circostanze della diffusione del
    culto del Sol Invictus Mitra (questi tre nomi compaiono quasi sempre assieme in tutte le iscrizioni,
    pertanto non c’è dubbio che si riferiscono alla stessa ed unica istituzione) ci sono noti con
    ragionevole precisione e certezza. Conosciamo anche il nome, la professione e le responsabilità di
    un gran numero di suoi membri.



    Il primo mitreo di cui si abbia evidenza fu costruito a Roma, al tempo di Domiziano, e ci sono
    precise indicazioni che fosse frequentato da persone vicine alla famiglia imperiale, in particolare
    liberti giudaici. Il mitreo, infatti, fu dedicato da un certo Tito Flavio Igino Efebiano, un liberto
    dell’imperatore Tito Flavio, pertanto quasi certamente un giudeo romanizzato. Da Roma
    l’organizzazione mitraica si diffuse, nel corso del secondo secolo, in tutto l’impero occidentale.
    C’è un terzo avvenimento, accaduto in quello stesso periodo ed in qualche modo collegato alla
    famiglia imperiale ed agli ambienti giudaici, a cui gli storici non hanno mai prestato particolare
    attenzione: l’arrivo a Roma di un importante gruppo di persone, 15 alti sacerdoti giudaici, con le
    loro famiglie e parenti. Appartenevano alla classe sacerdotale che aveva governato Gerusalemme
    per mezzo millennio, fin dal ritorno dall’esilio babilonese, quando 24 famiglie sacerdotali, sotto gli
    auspici di Esdra, avevano stipulato fra loro un accordo e creato un’organizzazione segreta con lo
    scopo di assicurare le proprie fortune, per mezzo della “proprietà” esclusiva del Tempio e
    l’esclusiva amministrazione del sacerdozio.




    La dominazione romana della Giudea era stata segnata da forti tensioni sul piano religioso, che
    avevano provocato una serie di rivolte, l’ultima delle quali, nel 66 d.C., fu fatale per la nazione
    giudaica e per la stessa famiglia sacerdotale. Con la distruzione di Gerusalemme da parte di Tito
    Flavio, nel 70 d.C., lo strumento principale del potere della famiglia, il Tempio, fu raso al suolo, e
    mai più ricostruito, ed i sacerdoti furono uccisi a migliaia.




    Ci furono dei superstiti, naturalmente, in particolare un gruppo di 15 alti sacerdoti che erano
    passati dalla parte dei romani, consegnando a Tito il tesoro del tempio, e per questa ragione erano
    stati reintegrati nelle loro proprietà e gli era stata concessa la cittadinanza romana. Essi avevano poi
    seguito Tito a Roma, dove apparentemente scomparvero per sempre dalla scena della storia, a parte
    quello che indubbiamente appare come la personalità più forte di quel gruppo, Giuseppe Flavio.
    Giuseppe era un sacerdote che apparteneva alla più illustre delle 24 famiglie sacerdotali
    giudaiche. Al tempo della rivolta contro Roma aveva ricoperto un ruolo di primo piano nelle
    tormentate vicende della Palestina. Inviato dal Sinedrio quale governatore della Galilea, egli era
    stato il primo a combattere contro le legioni del generale romano Tito Flavio Vespasiano, che aveva
    ricevuto da Nerone l’incarico di reprimere la rivolta.



    Barricato nella fortezza di Jotapata egli
    resistette valorosamente all’assedio delle truppe romane, ma alla fine dovette capitolare. Egli si
    arrese a condizione di poter parlare personalmente con Vespasiano (Guerra Giudaica, III, 8,9). Il
    loro incontro segnò una svolta nelle fortune di entrambi: Vespasiano qualche tempo dopo divenne
    imperatore, mentre Giuseppe non soltanto ebbe salva la vita, ma fu “adottato” nella famiglia
    imperiale ed assunse il nome di Flavio. In seguito ottenne la cittadinanza romana, una villa patrizia a
    Roma, una rendita annua a spese dello stato ed enormi proprietà in Palestina. Il prezzo del suo
    tradimento (fu lui, probabilmente, che fornì a Vespasiano i mezzi economici per diventare
    imperatore).




    I sacerdoti di questo gruppo avevano una cosa in comune fra loro: erano tutti traditori del loro
    popolo e quindi certamente non bene accetti in seno alle comunità giudaiche. Appartenevano tutti,
    però, ad una famiglia dalle tradizioni millenarie, erano legati fra loro dall’organizzazione segreta
    creata a suo tempo da Esdra e possedevano una specializzazione ed una esperienza unica nel gestire
    una religione e governare un paese tramite questa. I poveri resti della comunità cristiana romana,
    sopravvissuti alle persecuzioni neroniane, offrivano loro una splendida opportunità di mettere a
    frutto la loro millenaria esperienza e le loro notevoli sostanze.



    Non sappiamo nulla della loro attività a Roma, ma ne abbiamo chiare indicazioni attraverso gli
    scritti di Giuseppe Flavio. Dopo alcuni anni, infatti, egli cominciò a scrivere la storia di quegli
    avvenimenti che lo avevano avuto protagonista, con l’intento, a quanto sembra, di giustificare il
    proprio tradimento e quello dei suoi compagni. Era stata la volontà di Dio, egli afferma, che lo
    aveva chiamato a costruire un Tempio Spirituale, al posto di quello materiale distrutto da Tito.
    Queste parole certamente non erano rivolte ad orecchie giudaiche, ma cristiane. La maggior
    parte degli storici sono scettici sul fatto che Giuseppe fosse cristiano, ma ci sono forti elementi che
    lo confermano. In un passo famoso del suo libro “Antichità Giudaiche” (il cosiddetto Testimonium
    Flavianum) egli dichiara di accettare due punti fondamentali, la resurrezione di Cristo e la sua
    identificazione con il messia delle profezie, che sono condizione necessaria e sufficiente, per un
    giudeo del suo tempo, per essere considerato cristiano. Le simpatie cristiane di Giuseppe traspaiono
    inoltre molto chiaramente da altri passi della stessa opera, nei quali egli parla con grande
    ammirazione di Giovanni Battista e del fratello di Gesù, Giacomo.




    Giuseppe Flavio e San Paolo




    Le argomentazioni usate da Giuseppe Flavio per giustificare il proprio tradimento e quello dei
    suoi fratelli, sembrano riecheggiare le parole di San Paolo. I due sembrano essere in sintonia per
    quel che riguarda il loro atteggiamento nei confronti del mondo romano. Paolo considerava suo
    compito liberare la chiesa di Gesù dalle strettoie del giudaismo e dalla dipendenza dal territorio
    palestinese, e di renderla universale, legandola a Roma. Essi sono in sintonia anche su altri punti
    fondamentali, come ad esempio sul fatto che entrambi dichiarano di credere nella dottrina dei
    farisei, che è poi quella che è stata pienamente recepita dalla chiesa di Roma.
    Ci sono sufficienti indicazioni storiche per concludere con certezza che i due si conoscevano ed
    erano legati da una profonda amicizia.



    Negli Atti degli Apostoli si legge che, dopo essere tornato a
    Gerusalemme, Paolo fu condotto di fronte ai sommi sacerdoti ed al Sinedrio per essere giudicato
    (Atti 22, 30). Egli si difese dicendo:
    “Fratelli, io sono un fariseo, figlio di farisei; io sono chiamato in giudizio a motivo della
    speranza nella resurrezione dei morti”. Appena egli ebbe detto ciò scoppiò una disputa tra i
    farisei ed i sadducei e l’assemblea si divise. I sadducei infatti affermano che non c’è
    resurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei, invece, professano tutte queste cose. Ne nacque
    allora un grande clamore ed alcuni scribi del partito dei farisei, alzatisi in piedi protestavano
    dicendo: “Non troviamo nulla di male in quest’uomo. E se uno spirito o un angelo gli avesse
    parlato davvero?” La disputa si accese a tal punto che il tribuno, temendo che Paolo venisse
    linciato da costoro, ordinò che scendesse la truppa a portarlo via di mezzo a loro e ricondurlo
    nella fortezza.” (Atti, 23; 1-10)




    Giuseppe era un sacerdote di alto rango e a quel tempo si trovava a Gerusalemme; era
    certamente presente a quell’assemblea. Egli aveva aderito alla setta dei farisei all’età di 19 anni,
    pertanto doveva essere fra quei sacerdoti che si alzarono in difesa di Paolo. L’apostolo fu
    consegnato al governatore romano Felice, che lo tenne agli arresti per qualche tempo, fino a che fu
    inviato a Roma, insieme ad altri prigionieri (Atti 27, 1), per essere giudicato dall’imperatore, al
    quale Paolo, in qualità di cittadino romano, si era appellato. A Roma egli passò due anni in prigione
    (Atti, 28,29) prima di essere liberato, nel 63 o 64 d.C.





    Nel sua autobiografia Giuseppe scrive:
    “Tra i venticinque ed i ventisei anni mi imbarcai in un viaggio a Roma, per la seguente
    ragione. Durante il periodo in cui fu governatore della Giudea, Felice aveva mandato alcuni
    sacerdoti a Roma, per giustificarsi di fronte all’imperatore. Io li conoscevo come ottime
    persone, che erano state arrestate su accuse insignificanti. Siccome volevo studiare un piano
    per liberarli … mi imbarcai per Roma” (Vita, 3, 13).




    In qualche modo Giuseppe riuscì a raggiungere Roma, dove strinse amicizia con un certo
    Alituro, un mimo giudeo che era molto apprezzato da Nerone. Tramite Alituro, egli fu presentato a
    Poppea, moglie dell’imperatore, e grazie a lei riuscì a far liberare i sacerdoti suoi amici (Vita 3, 16).
    La coincidenza di date, fatti e persone coinvolte è assoluta, al punto che è impossibile sfuggire alla
    conclusione che Giuseppe venne a Roma, a suo rischio e spese, appositamente per liberare Paolo ed
    i suoi compagni, e che fu proprio grazie al suo intervento che l’apostolo fu rilasciato. Questo
    presuppone che i rapporti fra i due fossero molto più stretti che non una semplice conoscenza
    occasionale. Pertanto Giuseppe doveva conoscere del cristianesimo molto più di quanto traspare dai
    suoi scritti, e la sua conoscenza proveniva direttamente dagli insegnamenti di Paolo, di cui era
    verosimilmente un discepolo.




    Quando Giuseppe tornò a Roma al seguito di Tito, nel 70 d.C., il suo maestro era stato
    giustiziato, insieme a una gran parte dei cristiani che lui stesso aveva convertito, la Giudea era sta
    cancellata dal novero delle nazioni, il Tempio distrutto, la famiglia sacerdotale quasi sterminata, e la
    sua stessa reputazione macchiata dall’onta del tradimento. Doveva essere animato da un forte
    risentimento e da un irreprimibile desiderio di rivincita e vendetta. Inoltre doveva sentirsi in carico
    dei destini degli umiliati rimasugli di una delle più grandi famiglie del mondo di allora, i 15 alti
    sacerdoti giudaici che condividevano le sue stesse condizioni. Ci sono indizi secondo cui Giuseppe
    Flavio, senza dubbio la personalità più forte ed autorevole di quel gruppo di persone, presiedette
    una riunione durante la quale quei sacerdoti esaminarono la situazione della famiglia sacerdotale e
    decisero una strategia per risollevare le sue fortune.




    Giuseppe lucidamente concepì un piano che in quelle circostanze sarebbe apparso a chiunque
    assolutamente folle. Quell’uomo, seduto fra le rovine fumanti di quella che era stata la sua patria,
    circondato da pochi sopravvissuti, umiliati e demoralizzati, rifiutati dai loro stessi concittadini,
    progettò nientemeno che di conquistare quell’enorme potentissimo impero che lo aveva sconfitto, e
    di insediare i propri discendenti e quelli degli uomini intorno a lui quale classe dirigente di quello
    stesso impero.




    Il primo passo di questa strategia era di assumere il controllo della neonata religione cristiana e
    trasformarla in una solida base di potere per la famiglia sacerdotale. Quei sacerdoti erano venuti a
    Roma al seguito di Tito, di cui godevano la protezione, ed erano provvisti di grandi mezzi
    economici. Non dovettero incontrare eccessive difficoltà nell’assumere la guida del piccolo gruppo
    di cristiani che erano sopravvissuti alle persecuzioni neroniane, tanto più che erano legittimati dai
    precedenti rapporti di Giuseppe Flavio con Paolo.




    Erano trascorsi soltanto sei anni da quando Giuseppe aveva ottenuto la liberazione di Paolo
    dalla prigione. L’apostolo doveva essere morto da non più di tre anni. Giuseppe deve essersi sentito
    moralmente obbligato a continuare l’opera del suo vecchio maestro, di cui conosceva perfettamente
    la dottrina; rendendosi conto del suo potenziale di propagazione nel mondo romano, si dedicò
    anima e corpo alla sua implementazione pratica, coadiuvato dai sacerdoti superstiti. Una volta
    ricreata una forte comunità cristiana nella capitale, che comprendeva addirittura alcuni membri
    della famiglia imperiale, non dovette essere difficile per quei sacerdoti imporre la propria autorità
    sulle altre comunità cristiane sparse per l’impero, prime fra tutte quelle che erano state create o
    catechizzate dallo stesso Paolo.





    Giuseppe Flavio ed il Sol Invictus Mitra






    Giuseppe Flavio sapeva fin troppo bene che una religione non ha futuro se non entra a far parte
    integrante di un sistema di potere politico. Era un concetto, per così dire, innato nel DNA dei
    sacerdoti di Giuda che religione e potere politico vivono in simbiosi, sostenendosi a vicenda. Non è
    immaginabile che egli pensasse che la nuova religione potesse diffondersi nell’impero
    indipendentemente, o addirittura in contrasto con il potere politico. Il suo obiettivo primario,
    pertanto, dovette essere quello di conquistare il potere politico. Grazie alla millenaria esperienza
    della sua famiglia ed alla sua stessa esperienza di vita, Giuseppe sapeva bene che il potere politico,
    specie in un organismo elefantiaco come l’impero romano, era basato sul potere militare, ed il
    potere militare su quello economico, a sua volta basato sulla capacità di influenzare e controllare le
    leve finanziarie del paese. Nel suo piano egli deve aver programmato che la famiglia sacerdotale
    assumesse prima o poi il controllo di queste leve. Allora l’impero sarebbe stato nelle sue mani e la
    nuova religione sarebbe stato lo strumento per controllarlo.




    Ma qual era il piano di Giuseppe Flavio per realizzare questo ambizioso progetto? Non dovette
    inventare nulla di nuovo. Il modello era già lì, l’organizzazione segreta creata da Esdra al rientro
    dall’esilio babilonese, la quale aveva assicurato alla famiglia sacerdotale giudaica potere e
    prosperità per mezzo millennio. Dovette apportarvi soltanto alcuni ritocchi, per mimetizzare questa
    istituzione nel mondo pagano sotto le sembianze di una religione misterica, dedicata al dio greco
    Helios, il sole, per l’indubbia assonanza con il nome della divinità ebraica El, o El Elyon. Il dio fu
    presentato come invincibile, il Sol Invictus, per galvanizzare lo spirito dei suoi adepti, ed al suo
    fianco fu posto, come inseparabile compagno, una divinità solare di quella stessa Mesopotamia da
    dove gli ebrei avevano avuto origine, Mitra, l’inviato del Sole sulla terra per redimere l’umanità. E
    tutto attorno ad essi, nei mitrei, furono poste le statue di varie divinità pagane, Atena, Ercole,
    Venere e così via. L’insieme era un evidente riferimento a Dio Padre, ed al suo inviato sulla terra
    Gesù, circondati dai loro attributi di saggezza, forza, bellezza e così via, che era chiaramente
    comprensibile ad un cristiano, ma era perfettamente pagano agli occhi di un pagano.




    Questa organizzazione non aveva alcun fine religioso: il suo unico scopo era preservare l’unione
    fra le famiglie sacerdotali e garantire loro sicurezza e prosperità, tramite il mutuo supporto ed una
    strategia comune intesa ad infiltrare tutte le posizioni di potere della società romana. I lavori che
    venivano svolti nei mitrei erano coperti dal più rigoroso segreto. Nonostante l’organizzazione
    mitraica abbia operato per tre secoli ed abbia avuto migliaia di adepti, molti dei quali eminenti
    letterati, non è giunta fino a noi neppure una parola, scritta direttamente da un suo membro, su quel
    che accadeva nel corso delle riunioni mitraiche, quali decisioni venivano prese e così via. Questo
    significa che fu sempre mantenuto il più rigoroso riserbo sui lavori che venivano svolti in un mitreo.
    L’accesso all’organizzazione doveva essere riservato ai soli membri delle famiglie sacerdotali,
    almeno al livello operativo, quello decisionale, dal terzo grado in su (occasionalmente potevano
    essere affiliate nei primi due gradi persone non appartenenti a queste famiglie, come nel caso
    dell’imperatore Commodo).





    Questo sistema di reclutamento è perfettamente in linea con le
    evidenze storiche ed archeologiche in nostro possesso. Anche al culmine del suo potere e
    diffusione, il Sol Invictus Mitra appare una istituzione di elite, con un numero assai limitato di
    adepti. La maggior parte dei mitrei, infatti, erano stanze molto piccole, che non potevano ospitare
    più di una ventina di persone. Certamente, quindi, non era una religione di massa, ma
    un’organizzazione a cui potevano accedere soltanto i vertici delle forze armate e della burocrazia
    imperiale. Tuttavia non conosciamo assolutamente nulla della politica di reclutamento di questa
    istituzione. Non sappiamo se reclutasse i suoi membri fra gli alti ranghi della società romana, o se al
    contrario erano i membri di questa organizzazione che “infiltravano” tutte le posizioni di potere di
    questa società. Le evidenze storiche in nostro possesso favoriscono l’ipotesi che l’appartenenza a
    questa istituzione fosse riservata su base etnica.




    Per capire il suo successo, dobbiamo ritenere che
    ’accesso ad essa, almeno al livello operativo, fosse riservato ai discendenti di quel gruppo di
    sacerdoti giudaici che erano venuti a Roma al seguito di Tito, dopo la distruzione di Gerusalemme.
    Il Sol Invictus Mitra conquista l’impero romano
    Sia le fonti scritte che le testimonianze archeologiche confermano che da Domiziano in poi
    Roma rimase sempre la sede più importante del Sol Invictus Mitra, che si era saldamente installato
    nel cuore stesso dell’amministrazione imperiale, sia nel palazzo vero e proprio che nella guardia
    pretoriana. Da Roma l’organizzazione mitraica si diffuse immediatamente nella vicina Ostia, il
    porto con il più grande volume di traffico commerciale dell’intero Mediterraneo, dove confluivano
    merci da ogni parte dell’impero, per soddisfare l’insaziabile appetito della capitale. Nel corso del
    secondo e terzo secolo vi furono costruiti almeno una quarantina di mitrei, evidente dimostrazione
    che i membri dell’organizzazione mitraica avevano assunto il controllo delle attività commerciali
    del porto, sorgente di entrate incalcolabili e di grande potere economico.




    Nel contempo l’istituzione mitraica si diffuse in tutto il resto dell’impero, in particolare in
    quello occidentale. Il primo mitreo di cui si abbia notizia al di fuori della cerchia romana fu
    costruito intorno al 110 d.C in Pannonia, a Poetovio, il maggior centro doganale della regione ad
    opera dei funzionari della dogana. Quasi contemporaneamente sorse un mitreo presso la
    guarnigione militare di Carnutum, sempre in Pannonia e subito dopo in tutte le province danubiane
    (Rezia, Norico, Mesia e Dacia). Tra gli adepti di Mitra ritroviamo i funzionari delle dogane, che
    raccoglievano le gabelle poste su ogni genere di trasporto dall’Italia verso il Centro Europa e
    viceversa; i funzionari imperiali che controllavano i trasporti, la posta, l’amministrazione delle
    finanze e le miniere; ed infine gli ufficiali che comandavano le guarnigioni scaglionate lungo il
    confine. Contemporaneamente al bacino danubiano, sorsero numerosi mitrei anche nel bacino del
    Reno, a Bonn e Treviri. Seguirono poi la Britannia, la Spagna ed il Nord Africa, dove sorsero mitrei
    già nelle prime decadi del secondo secolo, sempre associati a centri amministrativi e guarnigioni
    militari.




    Le evidenze archeologiche, quindi, dimostrano che nel corso del secondo secolo i membri del
    Sol Invictus Mitra occuparono le principali posizioni dell’amministrazione pubblica, divenendo la
    classe dominante nelle province esterne dell’impero, soprattutto nell’Europa centrale e
    settentrionale. Abbiamo visto in precedenza che i membri del Sol Invictus Mitra avevano infiltrato
    anche la tradizionale religione pagana, assumendo il controllo del culto delle principali divinità, a
    cominciare dal Sole.



    La mossa vincente, tuttavia, quella che rese irresistibile l’ascesa dell’istituzione mitraica, fu la
    presa di controllo dell’esercito. Giuseppe Flavio sapeva per esperienza personale che l’esercito
    poteva diventare l’arbitro del trono imperiale. Chiunque controllava l’esercito controllava l’impero.
    L’obiettivo principale che egli fissò per l’organizzazione mitraica dovette essere quello di infiltrare
    l’esercito e assumerne il controllo.




    Ed infatti ritroviamo mitrei in tutti i luoghi in cui erano stazionate delle guarnigioni militari. In
    poco meno di un secolo l’istituzione mitraica riuscì ad assumere il controllo di tutte le legioni
    stazionate nelle province esterne e lungo i confini, al punto che il “culto” del Sol Invictus Mitra è
    considerato dagli storici come la religione tipica dei soldati romani. Prima ancora che all’esercito,
    tuttavia, le attenzioni del Sol Invictus si erano rivolte alla guardia pretoriana, la guardia personale
    dell’imperatore. Non è un caso che la seconda iscrizione dedicatoria mitraica, in ordine di tempo,
    riguardi proprio un comandante del Pretorio e che la concentrazione di mitrei fosse particolarmente
    elevata nei pressi delle caserme dei pretoriani. L’infiltrazione di questo corpo militare deve essere
    iniziata già al tempo degli imperatori Flavii. Essi potevano contare sulla fedeltà incondizionata dei
    liberti giudaici, che dovevano tutto ad essi, la loro vita, la sicurezza ed il benessere.





    Gli imperatori
    romani erano riluttanti a mettere la propria sicurezza personale nelle mani di ufficiali provenienti
    dai ranghi del senato, il loro maggior opponente politico, pertanto i quadri della loro guardia
    personale furono formati principalmente da liberti e membri dell’ordine equestre (a cui fu sempre
    riservato il comando del Pretorio). Questo dovette favorire in modo particolare il Sol Invictus Mitra,
    che fece del Pretorio un suo feudo incontrastato fin dagli inizi del secondo secolo.
    Una volta acquisito il controllo del pretorio e dell’esercito, il Sol Invictus Mitra fu in grado di
    mettere le mani anche sulla carica imperiale. Questo avvenne nel 193 d.C., quando Settimio Severo
    fu proclamato imperatore dall’esercito. Nato a Leptis Magna, nel Nord Africa, da una famiglia
    equestre di alti burocrati, egli era certamente un membro mitraico, avendo sposato Giulia Domna,
    sorella di un certo Bassiano, sacerdote del Sole Invitto. Da allora in poi la carica imperiale fu
    prerogativa del Sol Invictus Mitra e tutti gli imperatori furono proclamati tali (o rimossi)
    dall’esercito o dalla guardia pretoriana.



    Giudicando in prospettiva, appare evidente che l’obiettivo finale della strategia concepita da
    Giuseppe Flavio era la completa sostituzione della classe dirigente dell’impero romano con membri
    del Sol Invictus Mitra. Questo obiettivo fu conseguito in meno di due secoli, grazie alla politica
    messa in atto dagli imperatori mitraici.



    I ranghi dell’amministrazione imperiale romana provenivano quasi totalmente da nuove
    famiglie di origine ignota, che erano emerse nel corso del primo secolo e agli inizi del secondo, in
    antagonismo all’aristocrazia senatoriale, tradizionalmente contrapposta al potere dell’imperatore.
    Questo gruppo di famiglie formavano il cosiddetto ordine equestre, che ben presto divenne un feudo
    incontrastato del Sol Invictus Mitra. Certamente la maggior parte delle famiglie dei 15 alti sacerdoti
    del seguito di Giuseppe Flavio, ricchi, con ottime relazioni interpersonali e forti del favore
    imperiale, dovettero confluire in questo ordine.




    Gli imperatori mitraici provenivano tutti dall’ordine equestre e governarono in aperta
    opposizione al senato, umiliandolo, privandolo delle proprie prerogative e beni materiali e
    colpendolo fisicamente con l’esilio e la condanna capitale di un gran numero dei suoi membri più
    eminenti, tanto che nel corso del terzo secolo buona parte delle antiche famiglie senatoriali
    scomparvero dalla scena. Contemporaneamente essi cominciarono ad immettere nel senato un gran
    numero di famiglie equestri. Questa politica era stata iniziata da Settimio Severo e sviluppata da
    Gallieno (il quale, è bene ricordarlo, fu anche l’autore del primo editto di tolleranza nei confronti
    del Cristianesimo), che stabilì per decreto che tutti coloro che avevano ricoperto la carica di
    governatori di provincia o di prefetto del pretorio, incarichi riservati entrambi all’ordine equestre,
    entrassero di diritto a far parte del senato. Questo diritto fu poi esteso ad altre categorie di
    funzionari, grandi burocrati ed alti ufficiali dell’esercito (tutti membri dell’organizzazione mitraica,
    dobbiamo supporre). Il risultato finale fu che nel giro di alcuni decenni praticamente l’intera classe
    equestre transitò nei ranghi del senato, soppiantando le famiglie della originaria aristocrazia romana
    ed italica.





    Nel frattempo la diffusione del cristianesimo attraverso l’impero procedeva speditamente.
    Ovunque arrivassero i rappresentanti di Mitra, lì immediatamente sorgeva una comunità cristiana.
    Alla fine del secondo secolo si contavano almeno quattro sedi episcopali in Britannia, sedici in
    Gallia ed altrettante in Spagna e praticamente una in ogni grande città del Nord Africa e del Medio
    Oriente. Nel 261 il Cristianesimo fu riconosciuto come religione lecita dal mitraico Gallieno e
    mezzo secolo dopo fu proclamata religione ufficiale dell’impero dal mitraico Costantino, sebbene
    fosse ancora largamente minoritaria nella società romana (i cristiani erano allora assai meno del
    20% dell’intera popolazione). Da quel momento in poi fu gradualmente imposta alla popolazione
    dell’impero, con una serie di misure che culminarono, alla fine del quarto secolo, con l’abolizione
    delle religioni pagane e la “conversione” in massa del senato romano.



    La situazione finale per quanto concerne le classi dirigenti dell’impero occidentale era allora la
    seguente: l’antica nobiltà di origine pagana era virtualmente scomparsa e la nuova nobiltà
    senatoriale, che si identificava con la classe dei grandi proprietari terrieri, era costituita in gran parte
    da ex membri del Sol Invictus Mitra. Sul piano religioso il paganesimo era stato completamente
    eliminato ed il cristianesimo era divenuto la religione di tutti gli abitanti dell’impero. Esso era
    controllato da gerarchie ecclesiastiche che provenivano quasi interamente dalla classe senatoriale ed
    erano dotate di immense proprietà fondiarie (fra l’altro esenti da tasse) e di poteri quasi reali
    nell’ambito delle proprie diocesi.



    Le famiglie sacerdotali erano diventate padrone assolute di quello stesso impero che aveva
    distrutto Israele ed il tempio di Gerusalemme. Tutte le alte cariche dell’impero, sia civili che
    religiose, e tutta la sua ricchezza erano nelle loro mani, e la carica suprema, quella dell’imperatore,
    era stata assegnata in perpetuo, per diritto divino, alla più illustre delle tribù sacerdotali, la “Gens
    Flavia” (da Costantino in poi, infatti, tutti gli imperatori romani o pretendenti tali, nessuno escluso,
    avevano il prenome Flavio), verosimilmente discendente dallo stesso Giuseppe Flavio.





    Tre secoli prima Giuseppe aveva scritto con orgoglio:
    “La mia famiglia non è oscura, anzi è di discendenza sacerdotale; come presso ciascun popolo
    esiste un diverso fondamento della nobiltà, così da noi l’eccellenza della stirpe trova conferma
    nell’appartenenza all’ordine sacerdotale” (Vita 1,1).
    Alla fine del quarto secolo i suoi discendenti potevano applicare con pieno diritto quelle stesse
    parole all’impero romano.


    A quel punto l’istituzione del Sol Invictus Mitra non era più necessaria per assicurare le fortune
    della famiglia sacerdotale e fu liquidata. Era stata lo strumento della cospirazione più di successo
    dell’intera Storia.






    20118541011_A2

     
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    trovate non solo le analogie, ma i prestiti e gli autentici furti che il Cristianesimo ha perpetrato

    dal Mithraismo


    la chiavi di San Pietro



    pietro



    201172921560_009

    20118541011_A2

    Si tratta del CIMRM 551 VOLUME 1 pag 215

    Altezza cm 79 , base cm 20

    Vermaseren , su ogni pezzo , da una grande quantità di notizie che rimandano ad altri testi , per cui cercherò di fare una sintesi :

    nel 1800 il pezzo era a Roma , nei giardini della famiglia Muti , vicino Villa Ludovisi , e nel 1956 era al Museo del Laterano, numero di inventario 318A.

    E' inserito in una sezione del Volume 1 che Vermaseren titola " Monumenti fabbricati a Roma e preservati a Roma "

    Non da indicazioni specifiche del periodo , ma in questa sezione lui parla
    genericamente del II secolo.

    Oggi al Museo Profano Gregoriano del Vaticano , ma mi sa che l' hanno nascosto nei magazzini ....




    Un altro Aion , oggi ai Musei Vaticani , entrata della Biblioteca


    bellisssssima foto !



    VERMASEREN CIMRM 545 VOLUME I



    [SPOILER]3915869465_b2ca677e2e_o
    [/SPOILER]



    in origine senza foglia di fico sul pisello ...


    satrntim


    ricostruzione moderna ( penosa ... )

    AE


    un link interessante

    www.fondazionemarcobesso.it/nuovobesso/borgo/laura_gigli.htm


    zio ot :B):[/IMG]

    Edited by barionu - 21/3/2014, 13:05
     
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    Sei forse tu John Wayne?

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    e io chi sarei...?

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    CITAZIONE (barionu @ 13/10/2013, 23:13) 
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    trovate non solo le analogie, ma i prestiti e gli autentici furti che il Cristianesimo a perpetrato

    dal Mithraismo

    almeno la grammatica, quando si parla di certi argomenti, bisognerebbe conoscerla, per risultare credibili.
     
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    CITAZIONE (josef k. @ 7/1/2014, 09:37) 
    CITAZIONE (barionu @ 13/10/2013, 23:13) 
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    trovate non solo le analogie, ma i prestiti e gli autentici furti che il Cristianesimo a perpetrato

    dal Mithraismo

    almeno la grammatica, quando si parla di certi argomenti, bisognerebbe conoscerla, per risultare credibili.

    beh ,,,,il refuso è evidente , ma mi interesserebbe un tuo intervento su tutto il resto


    zio ot :B):
     
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